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Pubblicata il: giugno 20, 2013 | Da: Redazione
Categoria: Poesie del 800 | Totali visite: 1580 | Valorazione

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Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
PRELUDIO

Di sghembo entrò, cantarellando roco,
nella sua stanza, e s'avviò pian piano
alla finestra. Aveva, dentro, il fuoco.
Nella via scura, ormai deserta, un coro
ebbro e discorde si perdea lontano.
Ma il cielo pieno era di note d'oro.
Era la Lira, appesa al cielo, in riva
della Galassia, sovra il monte santo.
Al soffio eterno ella da sé tinniva.
Al suo tinnir cantava il Cigno immerso
nell'onde bianche, e col suo grande canto
placido navigava l'Universo.
Ma no: Rossini non udia che quelle
voci ebbre e scabre. L'uggiolìo terreno
velava tutto il canto delle stelle.
Prese una carta e la lasciò cadere.
S'alzò, sedé, non la guardò nemmeno.
La carta piena era di note nere.
Imprecò muto. Minacciò per aria
Otello e Iago. Prese un foglio, e disse:
"Che altro occorre? una romanza? un'aria?
Assisa a piè..." Rise, e piantò nel cielo
della sua stanza due pupille fisse.
Pensava a un roseo fiore senza stelo...
Poi sbadigliò, poi chiuse pari pari
gli occhi, e nella dolcezza di quell'ora
dormì, sbuffando il sonno dalle nari.
Quegli stridori come d'aspra sega
stupì la Lira risonante ancora
del cilestrino tremolìo di Vega;
e sobbalzò dall'angolo solingo
il clavicembalo, e ronzava a lungo...


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