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Pubblicata il: giugno 24, 2013 | Da: Redazione
Categoria: Poesie di Pablo Neruda | Totali visite: 1620 | Valorazione

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Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
Ormai la mia triste sventura non concede speranza di avere sollievo; e il fatto di cercarlo serve solo a darmi il tormento di guardare ciò che ho perso. Invano me ne andrò a cercare regioni dove scordare il mio padrone amato: con la distanza avrà il mio petto i suoi timori e il suo amore ancor più fermi. Piangerò quando saranno lontane le mie sofferenze; e innalzerò i più tristi lamenti; e non avrò il conforto di vederti, né che tu sappia dei mie crudeli martiri. Dimmi, caro padrone: quale causa ha potuto far cambiare quel petto così amoroso? Non ti fa compassione vedermi che nel sfuggire alle tue crudeltà io spiro? Con che cuore sentirai dire che a causa tua è morto chi tanto ti ha amato? No essere, mio amato bene, non essere, della mia sventurata vita il coltello. (Traduz. a cura di Natalia Giannoni)


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Ora spiegherò quale sia la ragione per cui attraverso le fauci del monte Etna spirano a volte fuochi con turbine tanto grande. E infatti, scoppiata con vasta rovina, la tempesta di fiamme, spadroneggiando per i campi dei Siculi, attirò su di sé gli sguardi delle genti vicine, quando queste, al vedere tutte le regioni del cielo fumide mandare scintille, riempivano i petti di pauroso affanno, domandandosi quali rivolgimenti macchinasse la natura.

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