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Pubblicata il: luglio 23, 2013 |
Da: Redazione
Categoria: Poesie inedite | Totali visite: 962 | Valorazione
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Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
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Piermarino Scoccia
A R I T M A T A N E N I A
Parole come macigni cadono
Sui sassi della povertà
La porta bussa
Finestre sbraitano sul cortile
Antistante la sigaretta del mattino
Altrove guitarre danzano
Una dolce sambada
Le calde notti d'estate terminate da un'ora
Il passato suona l'ultima campana
Neri gatti mattinieri trovano cibo alla mensa del piano di sotto
Volendo non disturbare l'inquilina dispotica
Che li avrebbe sens'altro turbati
se solo li avesse scoperti a rintanarsi nel qualdove del sonno mattutino
ridiamo di cuore che tanto nulla accade
anatema bollito
il sole in cucina è caduto
sulle pietanze preferite dal re degli eoni
spenti, ammuffiti, fritti beoni appollaiati sui balconi dal giorno prima
Di femmine assopite ne sono un bel poco
Anchetroppo
Sopra cuscini intarsiati d'oro e nerbo di toro
Atterrano le loro belle flosce e stanche impietosite membra
Nonché chiappe
Ingombranti d'abiti orlati di malpensata voglia tantrica
Le ostriche servono la salsa di pesce sulgelato cinese
Il principe incanalato per vie falliche
Inalbera stendardi mai appartenutigli prima
Prima dei perché
E delle risposte inutilmente consecutive
Prima dei Dei.
Il discepolo s'avvede dell'errore
Promulga strani suoni nell'aria
Che ripeterà per mille anni
E poi per mille ancora
Quando l'eco sbiadisce della ciarla
S'aggrappa agli ultimi brandelli di verità
Cacando perle serotine dal dubbio valore sintetico
Il principe volgendo lo sguardo ad oriente
Non vede niente
Gomitoli di lana avvolgono la gente i genitali
Scoperti ai morsi dei cani che come tali
Danzano strane parole
Abbaiando con sprezzante fede la vita
La mano alla cintola
Dove pende bianca una pistola
D'argento i proiettili
Come bambini i vampiri s'aggirano per la città sozza
Rubando improbabili elemosine ai randagi giù nella strada
Con le voglie dalla forma gabbaiana
Stampate sulle loro fragili tombe
Varcano la soglia del dubbio
Alla caccia di strani individui dal mantello di merda
Quale il loro compito ?
Quale il loro destino ?
Così affaticati, sbiaditi
Così affamati, stralunati
Ricchi di moneta sonante buffi strumenti di pelle umana poveretti
Che pena guardarli
Con le loro sacche di scroto appese all'indice medio
Della mano destra a risvegliare sorprese eternamente sopite
Quanti servitori ci sarebbero voluti ancora ?
Quanti obbedienti, striscianti inchini
A quella tavola reale ?
Come non fossero bastate le promesse in salamoia
Offerte dal mago di turno
Come non fossero sprecate le righe buttate
A salutare gambe di tavolo
Sommerse d'abbracci e spinte
Poche ciance
Porge le sue spalle a petto nudo
Pronte per le dolci carezze
Nine
Il suo gatto a nove code gli farà
FLASHBACK
I bisonti cerebrali sondarono il timpano
Il principe s'avvolse d'un tendaggio purpureo
E scappò nella terra degl'infami
Dalla terra dei liquami.
Miagolando a chicchessia strani struggenti elpmi
Non avvedendosi del fatto
Che tutti protestassero il suo baffo destro
Sputassero l'occhio
Strappassero il codame isterico
Rimanenza di un caldo reale passato
Di verdure ingiallite nel tempo
E dal formaggio alla lavanda di culo di capra
Senza senso appoggiò la mascella
Allo sguardo ispido e bavoso della folla
Infierito dallo specchio suo contrario
L'anima persa ormai nel fondo degli abissi
Dove il conte ragionier Ugo pasteggiava suo figlio primigenio
Lì, a un angolo, una stufa russa con mattonelle di pietrasanta
Strappate al bianco sepolcro dell'omosacrens
Che fu dovuto spostare all'ultimo piano
Di una interminabile fila di loculi
Nel cimitero dei fiori di campo
Pietose sembianze umane danzavano nei suoi occhi
Come negativi
Avariati nel tempo
In tempo per posare lo sguardo l'ultima volta
Prima che le nebbie velassero
Quel vago tintinnio
Che qualcuno si ostinava ancora
A chiamare vita
Fine della partita.
Lenta colava la bava
Da mascelle senza senso vecchie
All'approssimarsi dell'ora terza di quindici anni dopo
Il risveglio di quel Dio d'un giorno
Abominevole come l'uomo delle nevi colombiane
Che l'aspirapolveri tira dritto
Come folletto impazzito sull'autostrada del sale
L'asfalto nero senza più righe
Divelti i guardrail.
Parlottavano tra loro
All'ombra di un minuscolo fungo fungente cesso
Tre ominidi aranciocolorcrema inverditi nei loro anni
Da speranze vane mai deluse
S'alzo' dalla nebbia canuta un Dio
D'amara noia sapore
E nostalgica euforia di ritorno
Flusso , riflusso e salto del fosso tutt'uno
Li azzannò in una bocca sola
L'altra era occupata
A digerire avanguardie artisticopseudotali
Coi petali dei piedi stracolmi di nettari-rari
S'avvidero, non riuscendo nel fatto
A distrarlo con un sasso nello stipite anale
Volarono giù dritti attraverso l'esofago
Irto di passaggi pedonali, zebre senza righe,
somari assassini senza pigiami
piombarono splaschando in un ampio salone
pavimento in madre pirla
figli taliequali grigiomerda
col vomito allo stomaco, Ulisse, il più piccolo dei tre
fatta di gabbie mentali per uccelli claustrofobici
speme di bianco cristallo gli imperlò la fronte, la bocca e quant'altro
vacuità sommerse sgorgarono
dagli occhi percorrendo strane strade............non vide più
si svegliò in un letto
con lenzuoli di bianco mattino coperto
la cristallina opacità svanita
nei meandri dei sogni di bimbo insonne.
Nessuna importanza sul chi fosse.
Nessuna importanza sul perché.
Non trovò mai risposta
Che sbadato!
Dei suoi umori
Dei suoi sonni
Infinito un abbraccio come tempesta
E stelle sopra a fare un cazzo.
Solo io quaggiù
Che metto camomilla nei miei pannoloni dorati
Che mangio semolino alle sei del mattino
Che metto mulini a vento sul mio comodino
Per poi svegliarmi come uno stronzo
Quando non sarò più sbronzo. |
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