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Pubblicata il: settembre 10, 2013 | Da: Redazione
Categoria: Poesie latine | Totali visite: 3905 | Valorazione

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Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
Gaio Giulio Fedro

IL CANE E IL LUPO

Libertà quanto è cara, in breve espongo.
Un Lupo, cui consunto ha lunga fame,
Un ben pasciuto Cane a sorte incontra:
Fermi si salutaro. Primo il Lupo:
Onde tal liscio, onde sì lauto cibo,
Il ventre ti distese? Io più robusto
Di te, a perir son da ria fame astretto.
Semplicemente il Can: Fia ugual tua sorte,
Se ugual servizio il mio padron n’ottenga.
E qual? Custode il dì sia de la soglia
Da i ladri la magion guardi la notte.
Io son pronto; nè boschi, e pioggia, e nevi
Soffrir m’è forza, e dura vita io meno;
Quanto più agevol fora sotto il tetto
Viver agiato, e largamente pascermi?
Vien dunque meco. Nel cammin s’accorge,
Che roso il Can da la catena ha il collo.
Onde è ciò, amico? Nulla. Amo saperlo.
Poichè sembro feroce, il dì mi legano
Perchè allor dorma, e desto sia la notte:
Sciolto su l’imbrunir, vo dove voglio:
Benchè nol chiegga, mi si porta il pane;
Da la mensa il padron l’ossa mi porge;
La famiglia gli avanzi; e se a taluno
Vien qualche cibo a noja, a me si getta:
Così senza fatica empiomi il ventre.
Ma se d’altrove andar mi vien talento,
Possol’io far? O questo no! e tu goditi,
Cane, le tue venture: io non le curo.
Regnar non vo’, se libertade io perdo.


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