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Pubblicata il: luglio 11, 2013 | Da: Redazione
Categoria: Poesie latine | Totali visite: 1532 | Valorazione

Occhio al medio ambiente | Invia per per e-mail

  
Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
Tito Lucrezio Caro
LIBRO V

Chi può con mente possente comporre un canto
degno della maestà delle cose e di queste scoperte?
O chi vale con la parola tanto da poter foggiare
lodi che siano all'altezza dei meriti di colui
che ci lasciò tali doni, cercati e trovati dalla sua mente?
Nessuno, io credo, fra i nati da corpo mortale.
Infatti, se si deve parlare come richiede la conosciuta
maestà delle cose, un dio fu, un dio, o nobile Memmio,
colui che primo scoperse quella regola di vita
che ora è chiamata sapienza, e con la scienza
portò la vita da flutti così grandi e da così grandi tenebre
in tanta tranquillità e in tanto chiara luce.
Confronta, infatti, le divine scoperte che altri fecero in antico.
E in effetti si narra che Cerere le messi e Libero la bevanda
prodotta col succo della vite abbian fatto conoscere ai mortali;
eppure la vita avrebbe potuto durare senza queste cose,
come è fama che alcune genti vivano tuttora.
Ma vivere bene non si poteva senza mente pura;
quindi a maggior ragione ci appare un dio questi
per opera del quale anche ora, diffuse tra le grandi nazioni,
le dolci consolazioni della vita placano gli animi.
E se crederai che le gesta di Ercole siano superiori,
andrai molto più lontano dalla verità.
Quale danno, infatti, a noi ora potrebbero recare le grandi
fauci del leone nemeo e l'ispido cinghiale d'Arcadia?
E ancora, che potrebbero fare il toro di Creta e il flagello
di Lerna, l'idra cinta di un baluardo di velenosi serpenti?
Che mai, coi suoi tre petti, la forza del triplice Gerione
*
tanto danno farebbero a noi ‹gli uccelli› abitatori ‹del lago›
di Stinfalo e i cavalli del tracio Diomede che dalle froge
spiravano fuoco, presso le contrade bistonie e l'Ismaro?
E il guardiano delle auree fulgide mele delle Esperidi,
il feroce serpente, che torvo guatava, con l'immane corpo
avvolto intorno al tronco dell'albero, che danno alfine farebbe,
lì, presso il lido di Atlante e le severe distese del mare,
dove nessuno di noi si spinge, né alcun barbaro s'avventura?
E tutti gli altri mostri di questo genere che furono sterminati,
se non fossero stati vinti, in che, di grazia, nocerebbero vivi?
In nulla, io credo: a tal punto la terra tuttora
pullula di fiere a sazietà, ed è piena di trepido terrore,
per boschi e monti grandi e selve profonde;
luoghi che per lo più è in nostro potere evitare.
Ma, se non è purificato l'animo, in quali battaglie
e pericoli dobbiamo allora a malincuore inoltrarci!
Che acuti assilli di desiderio allora dilaniano
l'uomo angosciato e, insieme, che timori!
E la superbia, la sordida avarizia e l'insolenza?
Quali rovine producono! E il lusso e la pigrizia?
L'uomo, dunque, che ha soggiogato tutti questi mali
e li ha scacciati dall'animo coi detti, non con le armi,
non converrà stimarlo degno d'essere annoverato fra gli dèi?
Tanto più che bene e divinamente egli fu solito proferire
molti detti sugli stessi dèi immortali
e coi suoi detti rivelare tutta la natura.
Sull'orme sue io cammino e, mentre seguo
i suoi ragionamenti e con le mie parole insegno con che norma
tutte le cose siano state create, come debbano in essa permanere
e non possano spezzare le possenti leggi del tempo -
e così anzitutto si è trovato che la natura dell'animo
è in primo luogo generata e costituita di corpo che nasce,
ed è incapace di durare incolume per gran tratto di tempo,
e sono solo simulacri quelli che nei sogni sogliono ingannare
la mente, quando ci pare di vedere colui che la vita ha lasciato -
per quel che resta, ora l'ordine della dottrina mi ha condotto
a questo punto, che io devo spiegare come il mondo consista
di un corpo mortale e insieme ha avuto una nascita;
e in quali modi quel concorso di materia abbia costituito
le fondamenta di terra, cielo, mare, astri, sole
e del globo lunare; poi quali esseri viventi siano sorti
dalla terra, e quali non siano nati in alcun tempo;
e in che modo il genere umano abbia cominciato a usare
nei reciproci rapporti il vario linguaggio mediante i nomi
attribuiti alle cose; e in quali modi si sia insinuato negli animi
quel timore degli dèi, che su tutta la terra consacra e conserva
templi, laghi, boschi, altari e simulacri di dèi.
Inoltre spiegherò con quale forza la natura, che li governa,
volga i corsi del sole e i movimenti della luna;
perché non ci avvenga di credere che tra cielo e terra
questi percorrano liberi, spontaneamente, i corsi perenni
per favorire la crescita delle messi e degli esseri viventi,
né crediamo che girino secondo qualche disegno divino.
Difatti chi bene ha appreso che gli dèi conducono una vita serena,
se tuttavia frattanto si chiede stupito in che modo
ogni cosa possa svolgersi, specialmente fra quelle cose
che sopra il nostro capo si vedono nelle plaghe eteree,
nuovamente ricade nelle antiche superstizioni
e accetta padroni dispotici, e nella sua miseria
li crede onnipotenti, ignorando che cosa possa essere,
che cosa non possa, infine in qual modo ciascuna cosa
abbia un potere finito e un termine, profondamente confitto.
Del resto, perché non ti tratteniamo più a lungo
con promesse, contempla anzitutto i mari e le terre e il cielo:
la loro triplice natura, i loro tre corpi, o Memmio,
i tre aspetti tanto dissimili, le tre compagini così connesse,
li darà in preda alla rovina un solo giorno e, dopo essersi sostenuta
per molti anni, precipiterà l'immane macchina del mondo.
Né al mio pensiero sfugge quanto alla mente giunga nuova
e mirabile cosa la futura rovina del cielo e della terra,
e quanto sia per me difficile dimostrar questo con parole;
come accade se rechi alle orecchie una cosa prima inaudita,
ma non puoi sottoporla all'accertamento degli occhi,
né metterla fra le mani, per dove la via sicura della persuasione
più dritta porta al cuore umano e alla dimora della mente.
Ma tuttavia parlerò. Alle parole darà forse conferma
il fatto stesso, e per violento insorgere di terremoti
tutte le cose in poco tempo vedrai sconvolte.
Ma lontano da noi volga questo la fortuna reggitrice, e la ragione
piuttosto che il fatto stesso ci persuada che l'universo
può inabissarsi vinto, in un fragore di suono orrendo.
Ma, prima che m'accinga a proferire su questo tema
fatidiche parole, più santamente e con molto maggiore certezza
che la Pizia, la quale parla dal tripode e dal lauro di Febo,
molte consolazioni ti appresterò con dotte parole;
perché tu, inceppato dalla religione, non abbia per caso a credere
che le terre e il sole e il cielo, il mare, gli astri, la luna,
debbano durare eterni in virtù di un corpo divino,
e non giudichi perciò giusto che come i Giganti
paghino il fio per un immane delitto tutti quelli
che con la loro dottrina sconvolgono le mura del mondo
e vogliono estinguere in cielo il sole splendente,
marchiando con discorso mortale cose immortali;
mentre si tratta di cose che tanto distano dal nume divino,
tanto sono indegne d'essere annoverate fra gli dèi,
che le crederemmo piuttosto in grado di dare la nozione
di ciò che è remoto da moto e da senso vitale.
E infatti non si può credere che la natura dell'animo e il senno
si possano congiungere con un corpo qualsiasi;
come non può esistere nel cielo un albero, né nel mare salato
nuvole, né possono i pesci vivere nei campi,
né esserci sangue nel legno, né succo nei sassi.
È determinato e disposto dove ogni cosa cresca e abbia sede.
Così la natura dell'animo non può nascere sola,
senza il corpo, né esistere lontano dai nervi e dal sangue.
Se lo potesse, infatti, molto prima la stessa forza dell'animo
potrebbe essere nel capo o negli òmeri o in fondo ai talloni
e sarebbe solita nascere in qualsiasi parte, ma in fin dei conti
rimanere nello stesso uomo e nello stesso vaso.
Ora, poiché anche nel nostro corpo è fermamente determinato
e si vede disposto dove possano esistere e crescere
separatamente l'anima e l'animo, tanto più si deve negare
che possano durare fuori da tutto il corpo e dalla forma vivente,
nelle friabili zolle della terra o ‹nel› fuoco del sole
o nell'acqua o nelle alte plaghe dell'etere.
Questi dunque non sono dotati di senso divino,
giacché non possono essere vivificati da un'anima.
Questo parimenti non ti è possibile credere, che le sedi
sante degli dèi siano in alcuna parte del mondo.
Sottile, infatti, e di gran lunga remota dai nostri sensi, la natura
degli dèi è veduta appena dalla facoltà intellettiva dell'animo;
e poiché sfugge al contatto e all'urto delle mani,
non deve toccare niente che sia tangibile per noi.
Toccare infatti non può, ciò che non può essere esso stesso toccato.
Pertanto anche le loro sedi devono dalle nostre sedi
esser dissimili, sottili secondo i loro corpi.
Te lo proverò più tardi, con copioso discorso.
Dire, d'altro canto, che per amor degli uomini gli dèi
vollero apprestare la magnifica natura del mondo
e che perciò conviene lodare la loro opera lodevole
e crederla eterna e destinata a durare immortale;
e che non è giusto scuotere con alcuna violenza dalle fondamenta
ciò che da antico disegno degli dèi fu costruito per le genti umane
perché esistesse in perpetuo, o a parole oltraggiarlo
e sovvertirlo dal fondo alla sommità: immaginare queste cose
e aggiungerne altre di questo genere, o Memmio,
è follia. Che vantaggio infatti la nostra gratitudine
potrebbe arrecare ad esseri immortali e beati,
sì che intraprendano a fare qualcosa per cagion nostra?
O che novità poté dopo tanto allettare esseri che prima
se n'erano stati quieti, sì che volessero mutare la vita anteriore?
Difatti è evidente che di cose nuove deve godere chi ha danno
dalle antiche; ma in colui cui nulla di doloroso accadde
nel tempo andato, quando beatamente egli passava la vita,
in un tale essere che cosa poté accendere amore di novità?
O che male sarebbe stato per noi non essere creati?
Forse - ciò dovrei credere - la vita giaceva in tenebre e tristezza,
finché non albeggiò l'origine primigenia delle cose?
Infatti, chiunque è nato, è necessario che voglia restare
in vita, finché lo tratterrà il carezzevole piacere;
ma a colui che non gustò mai l'amore della vita,
né visse mai, che nuoce il non essere stato creato?
E poi, l'esemplare per la generazione delle cose e lo stesso
concetto dell'uomo donde furono primamente impressi negli dèi,
sì che sapessero e vedessero nella loro mente ciò che volevano fare?
O in che modo mai si conobbe il potere dei primi elementi
e che cosa questi potessero fare cambiando tra loro le disposizioni,
se la natura stessa non dette l'esempio della creazione?
E in verità tanto numerosi primi elementi delle cose, in molti modi,
da tempo infinito fino ad ora stimolati dagli urti
e tratti dal proprio peso, sono soliti muoversi e vagare
e in ogni modo congiungersi e provare tutto
quanto possano produrre aggregandosi tra loro,
che non meraviglia se caddero anche in tali disposizioni
e giunsero a tali movimenti quali son quelli
per cui ora il nostro universo rinnovandosi vive.
E quand'anche ignorassi quali siano i primi elementi delle cose,
questo tuttavia oserei affermare in base agli stessi fenomeni
del cielo e comprovare in forza di molte altre cose:
che la natura del mondo non è stata per nulla disposta
dal volere divino per noi: di così grande difetto essa è dotata.
In primo luogo, di quanto copre l'ampia distesa del cielo,
una grande parte è occupata da monti e selve
dominio di belve, la posseggono rupi e deserte paludi
e il mare che vastamente disgiunge le rive delle terre.
Inoltre, quasi due terzi il bruciante calore
e l'assiduo cadere del gelo li tolgono ai mortali.
Ciò che resta di terra coltivabile, la natura con la propria forza
lo coprirebbe tuttavia di rovi, se non le resistesse la forza dell'uomo,
per i bisogni della vita avvezzo a gemere sul robusto
bidente e a solcare la terra cacciandovi a fondo l'aratro.
Se, rivoltando col vomere le glebe feconde e domando
il suolo della terra, non le stimolassimo al nascere,
spontaneamente le piante non potrebbero sorgere nell'aria pura;
e nondimeno, talora, procurate con grande fatica,
quando già per i campi frondeggiano e tutte fioriscono,
o le brucia con eccessivi calori l'etereo sole
o le distruggono improvvise piogge e gelide brine,
e le devasta con violento turbine il soffiare dei venti.
E poi, la razza orrenda delle fiere, nemica
del genere umano, perché la natura in terra e in mare
la alimenta e la accresce? Perché le stagioni apportano
malattie? Perché la morte prematura s'aggira qua e là?
E inoltre, il bimbo, come un navigante gettato sulla riva
da onde furiose, giace a terra nudo, incapace di parlare,
bisognoso d'ogni aiuto per vivere, appena la natura lo fa uscire
con sforzi fuori dal ventre della madre alle rive della luce,
e riempie il luogo di un lugubre vagito, come è giusto
per uno che nella vita dovrà passare per tanti mali.
Ma crescono i vari animali domestici, gli armenti e le fiere,
né c'è bisogno di sonaglini, per nessuno occorre
la carezzevole e balbettante voce dell'amorevole nutrice,
né essi richiedono vesti diverse secondo le stagioni;
infine, non hanno bisogno di armi, né di alte mura,
per proteggere i propri averi, giacché per tutti tutto
largamente producono la terra stessa e la natura artefice.
Innanzitutto, poiché il corpo della terra e l'acqua
e i lievi soffi dei venti e i caldi vapori,
dei quali si vede consistere questo universo,
tutti constano d'un corpo che nasce e che muore,
d'uguale corpo si deve credere consti tutta la natura del mondo.
E infatti le cose, le cui parti e membra vediamo
essere di corpo che nasce e di forme mortali,
ci appaiono esse stesse costantemente mortali
e insieme soggette alla nascita. Perciò, quando vedo le membra
grandissime e parti del mondo consumarsi e rinascere,
concludo che anche il cielo e la terra ebbero parimenti
qualche tempo primordiale e subiranno distruzione.
A tale proposito, perché tu non creda che io abbia a mio pro carpito
l'ammissione di quel punto, quando ho asserito che la terra e il fuoco
sono mortali, e non ho esitato ad affermare che l'acqua e l'aria
periscono, e dissi che questi stessi nascono e crescono di nuovo,
in primo luogo, alquanta parte della terra, bruciata
continuamente dal sole, battuta dagli urti di molti piedi,
esala una nuvola di polvere e nubi volanti,
che i venti possenti sparpagliano per tutta l'aria.
E ancora, una parte delle zolle è trascinata dalle piogge
nell'inondazione, e i fiumi, radendo le rive, le corrodono.
Inoltre, ogni corpo che la terra alimenta e accresce, le è restituito
per la parte che esso ha ricevuta; e poiché certo essa appare
madre di tutto e insieme comune sepolcro delle cose, vedi
dunque che la terra subisce riduzione e, aumentata, ricresce.
Per il resto, che di nuovo liquido il mare, i fiumi, le fonti
sempre abbondino e che le acque scaturiscano perenni,
non c'è bisogno di dirlo: il loro grande scorrere da ogni parte
lo manifesta. Ma l'acqua che di volta in volta è prima, si perde,
e così avviene che nell'insieme il liquido non trabocchi mai,
in parte perché lo diminuiscono i venti possenti
spazzando il mare, e l'etereo sole dissolvendolo coi raggi,
in parte perché nelle profondità terrestri si spande ovunque:
vien filtrata infatti la salsedine, e l'elemento liquido
rifluisce indietro e s'aduna tutto alla sorgente dei fiumi
e di lì sgorga sulle terre con dolce corrente, là dove la via
una volta aperta ha fatto discendere le onde con liquido piede.
Ora dunque parlerò dell'aria, che in tutto il suo corpo
si muta innumerabilmente d'ora in ora.
Sempre infatti ciò che fluisce dalle cose, è trasportato tutto
nel gran mare dell'aria; e, se questa a sua volta non restituisse
elementi alle cose e non le reintegrasse di ciò che ne fluisce,
tutto sarebbe ormai dissolto e convertito in aria.
Dunque non cessa questa d'esser generata dalle cose e di risolversi
nelle cose, poiché è certo che tutto continuamente fluisce.
Così l'abbondante fonte di limpida luce, l'etereo sole,
perennemente inonda il cielo di fulgore sempre nuovo
e sùbito rifornisce la luce con luce nuova.
Ché ogni sua prima emanazione di fulgore perisce,
dovunque cada. E ciò puoi apprenderlo da questo,
che appena le nubi cominciano a passare sotto il sole
e a troncare, per così dire, a mezzo i raggi della luce,
d'un tratto la parte inferiore di questi perisce tutta
e la terra si vela d'ombra dovunque si portano i nembi;
sì che puoi conoscere che di nuovo splendore sempre le cose han bisogno
e che le emanazioni di fulgore periscono man mano che si producono,
né altrimenti le cose potrebbero essere vedute nella luce del sole,
se la stessa sorgente della luce non la fornisse perpetuamente.
E inoltre, vedi, i lumi notturni che sono sulla terra,
lampade appese e torce splendenti di lampeggianti baleni,
grasse di molta caligine, in simile modo s'affrettano
a fornire, mediante la loro fiamma, nuova luce,
e insistono nel tremolare dei fuochi, insistono, né la luce,
troncata, per così dire, a mezzo, lascia i luoghi d'intorno.
Tanto in fretta il suo estinguersi è celato
col celere scaturire di nuova fiamma da tutti i fuochi.
Così, dunque, il sole, la luna e le stelle è da credere
che spandano la luce con successive emanazioni
e che perdano sempre ogni fiamma che via via spunta;
che non ti avvenga di supporli dotati d'inviolabile vigore.
Ancora, non vedi che anche le pietre sono vinte dal tempo,
che le alte torri cadono in rovina e le rocce si sgretolano,
che i templi e le statue degli dèi rovinati si fendono,
e il santo nume non può differire i termini del fato,
né lottare contro le leggi della natura?
E ancora, non vediamo i monumenti degli eroi crollati
chiedere se tu credi che essi a loro volta invecchiano?
Non vediamo precipitare rupi divelte dagli alti monti,
incapaci di resistere e di sopportare le possenti forze di un tempo
sia pure limitato? Né infatti cadrebbero divelte d'un tratto,
se da tempo infinito avessero continuato a sopportare
tutti gli attacchi dell'età senza esserne spezzate.
Inoltre, contempla ora questo cielo che d'intorno e di sopra
cinge col suo abbraccio tutta la terra: se procrea da sé
tutte le cose, come alcuni dicono, e le accoglie dissolte,
tutto di corpo soggetto a nascita e a morte esso consta.
Infatti tutto ciò che di sé accresce e alimenta altre cose,
deve decrescere, e reintegrarsi quando riprende ciò che ha dato.
Oltre a ciò, se non ci fu un'origine primigenia
della terra e del cielo, e sempre essi esistettero eterni,
perché di là dalla guerra tebana e dalle rovine di Troia
non cantarono altri poeti anche altri eventi?
Dove mai tante gesta di eroi tante volte svanirono e perché non fioriscono
in alcun luogo, impresse negli eterni monumenti della fama?
Vero è, a parer mio, che tutto il nostro mondo è nella sua giovinezza,
e recente è la natura del cielo, né da molto tempo ebbe inizio.
Perciò alcune arti ancor oggi si raffinano, oggi ancora
progrediscono; oggi sono stati aggiunti alle navi
molti attrezzi; poc'anzi i musicisti hanno creato melodiosi suoni.
Infine, questo sistema della natura è stato scoperto
di recente, e primo fra tutti io stesso mi trovo
ora in grado di tradurlo nella lingua dei padri.
E se per caso credi che tutte le cose siano esistite identiche già in passato,
ma le generazioni degli uomini siano perite in avvampante fuoco,
o le città sian crollate in un grande sconvolgimento del mondo,
o a causa di piogge assidue fiumi rapinosi siano straripati
su per le terre e abbiano sommerso le città,
tanto più è inevitabile che tu, vinto, ammetta
che alla rovina soccomberanno anche la terra e il cielo:
infatti, quando le cose subivano l'assalto di tali flagelli e di tali pericoli,
se una forza più nociva si fosse in quel punto abbattuta su di loro,
per vasto spazio sarebbero precipitate in disastro e grandi rovine.
Né in altra maniera noi ci accorgiamo di essere mortali,
se non perché a vicenda siamo preda delle stesse malattie
di cui soffrirono coloro che la natura allontanò dalla vita.
Inoltre, tutte le cose che permangono eterne è necessario
o che respingano gli urti perché hanno corpo solido
e non si lascino penetrare da qualcosa che possa dissociare
nell'interno le parti strettamente unite, quali sono i corpi
della materia, di cui prima abbiamo rivelato la natura,
oppure che possano durare per ogni tempo per questo,
perché sono esenti da colpi, come è il vuoto,
che rimane intatto e non subisce il minimo urto,
o anche perché intorno non si trova tratto di spazio
ove, in qualche modo, le cose possano sperdersi e dissolversi:
così è eterna la somma delle somme, fuori della quale
non c'è luogo ove le cose saltino in pezzi, né ci son corpi
che possano cadere su di esse e con forte colpo dissolverle.
Ma, come ho insegnato, la natura del mondo non è dotata
di corpo solido, poiché dentro le cose è misto il vuoto,
né tuttavia esso è come il vuoto, né d'altronde mancano corpi
che, dall'infinito per caso irrompendo in folla, possano
far precipitare questo insieme di cose con violento turbine
o introdurvi qualche altro disastroso pericolo,
e inoltre non difettano il vuoto e le profondità dello spazio,
dove le mura del mondo possano disperdersi,
oppure possono perire colpite da qualsiasi altra forza.
Dunque la porta della morte non è chiusa al cielo,
né al sole, né alla terra, né alle acque profonde del mare,
ma sta spalancata e li aspetta con immane e vasta voragine.
Perciò devi anche ammettere che queste stesse cose hanno avuto
una nascita; e infatti cose che sono di corpo mortale
non avrebbero potuto da tempo infinito fino ad ora
disprezzare le possenti forze di un'età immensa.
Infine, poiché tanto lottano tra loro le grandissime
membra del mondo, sfrenate in empia guerra,
non vedi che alla loro lunga contesa può essere posto
qualche termine? Così, quando il sole e ogni fuoco,
assorbiti tutti gli umori, avranno preso il sopravvento:
a far ciò tendono, ma finora i tentativi non hanno avuto effetto:
tanto rifornimento danno i fiumi, e per di più minacciano
d'inondare ogni cosa riversandosi dai profondi gorghi del mare,
ma invano: poiché i venti, spazzando le acque, e l'etereo sole,
dissolvendole coi raggi, ne diminuiscono il volume,
e confidano di poter prosciugare ogni cosa prima che le onde
possano raggiungere il termine della loro impresa.
Da tanto spirito guerresco infiammati, con uguale esito
lottano per decidere di grandi cose ‹fra loro›,
e intanto il fuoco ebbe una volta il sopravvento,
e una volta, come si racconta, l'acqua regnò sui campi.
Il fuoco infatti sormontò e, raggiungendo molte cose, le bruciò,
quando la rapace forza dei cavalli del sole, uscendo di strada,
trascinò Fetonte attraverso tutto l'etere e su tutte le terre.
Ma il padre onnipotente, stimolato allora da un'ira violenta,
con un repentino colpo di fulmine gettò l'animoso Fetonte
giù dai cavalli sulla terra, e il Sole, andandogli incontro
mentre cadeva, raccolse l'eterna lampada del mondo
e ritrasse i cavalli sbandati e li aggiogò che ancora tremavano;
poi, guidandoli per la loro strada, ristorò tutte le cose.
Così invero cantarono gli antichi poeti di Grecia.
Ma questo si discosta troppo dalla verità.
Il fuoco infatti può sormontare quando più numerosi corpi
della sua materia hanno fatto in folla irruzione dall'infinito;
poi cadono le sue forze, sopraffatte da qualche causa,
oppure le cose periscono bruciate dai soffi cocenti.
Anche l'acqua un tempo, insorta, cominciò a sormontare,
come è fama, quando sommerse molti uomini sotto le onde.
Poi, quando venne meno, respinta da qualche causa,
la sua forza, quanta dall'infinito aveva fatto irruzione,
si fermarono le piogge e i fiumi scemarono la loro violenza.
Ma ora esporrò con ordine in quali modi quell'ammasso
di materia abbia costituito le fondamenta della terra e del cielo
e delle profondità marine, i corsi del sole e della luna.
Ché certo non secondo un deliberato proposito i primi elementi
delle cose si collocarono ciascuno al suo posto con mente sagace,
né in verità pattuirono quali moti dovesse produrre ciascuno,
ma, poiché molti primi elementi delle cose, in molti modi,
da tempo infinito fino ad ora stimolati dagli urti
e tratti dal proprio peso, sono soliti muoversi e vagare
e in ogni modo congiungersi e provare tutto
quanto possano produrre aggregandosi tra loro,
per questo avviene che, dopo aver vagato per gran tempo,
sperimentando ogni genere di aggregazioni e di moti,
alfine si incontrano quelli che, messi insieme d'un tratto,
diventano spesso inizi di grandi cose,
della terra, del mare e del cielo e delle specie viventi.
In tale situazione, non si poteva allora vedere il disco
del sole, volante nell'alto con la sua luce copiosa, né gli astri
del vasto firmamento, né mare, né cielo, e neppure terra, né aria,
né alcuna cosa simile alle nostre cose si poteva scorgere,
ma una specie di tempesta sorta di recente e un ammasso
composto di atomi d'ogni genere, la cui discordia perturbava
gl'intervalli, le vie, le connessioni, i pesi, gli urti,
gl'incontri, i movimenti, in un arder di battaglie,
perché, per le forme dissimili e le varie figure,
non potevano tutti così rimanere congiunti,
né produrre tra loro movimenti concordanti.
Indi parti diverse cominciarono a fuggire in varie direzioni,
e le cose simili a congiungersi con le simili, e segnare
i confini del mondo e dividerne le membra e disporre
le grandi parti, cioè distinguere dalle terre l'alto cielo,
e far sì che in disparte con distinte acque si stendesse il mare,
in disparte anche i fuochi dell'etere puri e distinti.
E, invero, dapprincipio i vari corpi di terra,
poiché erano pesanti e aggrovigliati, s'adunavano
nel mezzo e occupavano tutti le regioni più basse;
e, quanto più aggrovigliati tra loro s'adunavano,
tanto più spremevano fuori i corpi che dovevano produrre
il mare, gli astri, il sole e la luna e le mura del vasto mondo.
Tutti questi in effetti sono di semi più lisci
e più rotondi e di elementi molto più piccoli
che la terra. Così, erompendo, per i fori della terra porosa,
dalle parti di questa, primo si levò in alto l'etere
infuocato e, leggero, trasse su con sé molti fuochi,
non molto diversamente da quel che spesso vediamo,
quando l'aurea luce mattutina del sole raggiante
comincia a rosseggiare fra le erbe ingemmate di rugiada
ed esalano nebbia i laghi e i fiumi perenni,
e anche come la terra stessa si vede talora fumare;
e, quando tutte queste esalazioni, movendo verso l'alto, si aggregano,
lassù condensatesi diventano nuvole che col loro intreccio oscurano il cielo.
Così, dunque, allora l'etere leggero ed espansibile,
condensatosi e avvoltosi intorno, s'incurvò da ogni parte
e, ampiamente espanso da ogni parte in tutte le direzioni,
così circondò tutte le altre cose con avido abbraccio.
A questo tennero dietro gl'inizi del sole e della luna,
i cui globi si volgono nell'aria fra etere e terra:
né la terra li accolse in sé, né l'etere grandissimo, poiché non erano
tanto pesanti da cadere in basso e posarsi sul fondo,
né leggeri sì da potere scivolare per le plaghe più alte;
e tuttavia sono fra l'una e l'altro in tal modo che fanno girare
i loro corpi vivi ed esistono come parti di tutto il mondo:
come in noi certe membra possono restare immobili,
mentre ve ne sono altre che frattanto si muovono.
Ritiratesi, quindi, queste cose, d'un tratto la terra,
là dove ora la zona cerula del mare si stende amplissima,
sprofondò, e inondò di salati gorghi gli avvallamenti.
E di giorno in giorno, quanto più le vampe dell'etere
d'intorno e i raggi del sole serravano da ogni parte la terra
in spazio ristretto con colpi frequenti sugli estremi bordi,
sì che, compressa, si condensava e s'adunava al centro,
tanto più il salso sudore, spremuto fuori dal suo corpo,
scorrendo accresceva il mare e le distese fluttuanti,
e tanto più, guizzando fuori, volavano quei numerosi
corpi di calore e d'aria e addensavano lontano
dalla terra le alte e fulgide regioni del cielo.
Si abbassavano le pianure, ai monti elevati cresceva
l'altezza; e infatti le rocce non potevano abbassarsi,
né tutte le parti insieme ugualmente cader giù.
Così, dunque, il peso della terra col corpo condensato
si fissò, e tutto il limo, per così dire, del mondo confluì
pesante verso il basso e si posò nel fondo come feccia;
poi il mare, poi l'aria, poi lo stesso etere infuocato
coi loro corpi liquidi, tutti restarono puri,
e l'uno più leggero dell'altro; e l'etere, il più liquido
e il più leggero, scorre sopra i soffi dell'aria,
né mischia il suo liquido corpo con gli sconvolgenti
soffi dell'aria; lascia che tutte le cose quaggiù siano sossopra
per violenti turbini, lascia che s'agitino per mutevoli procelle,
mentre trasporta i suoi fuochi scorrendo con slancio immutato.
Infatti, che l'etere possa fluire con calma e con moto uniforme,
lo mostra il Ponto, il mare che fluisce con corrente immutata,
conservando sempre uguale l'andamento del suo scorrere.
Ora cantiamo quale sia la causa dei movimenti degli astri.
Anzitutto, se la grande sfera del cielo gira intorno,
dobbiamo dire che l'aria preme sui poli alle due estremità dell'asse
e la tiene a posto dall'esterno e la chiude da ambo i lati;
altra aria, poi, fluisce al di sopra e tende alla stessa meta
verso cui girano brillando gli astri dell'eterno mondo;
o altra aria fluisce di sotto e trascina la sfera in senso opposto,
come vediamo i fiumi far girare ruote e secchie.
Può anche darsi che tutto il cielo resti immoto,
mentre frattanto i lucidi astri sono in movimento,
o perché vi sono rinchiuse le rapide correnti dell'etere
e, cercando una via, s'aggirano tutt'intorno
e così volgono i fuochi qua e là per le notturne volte del cielo;
o un'aria, che fluisce da un altro luogo qualsiasi al di fuori,
trascina e fa girare i fuochi; o possono essi stessi scivolare
dove il cibo d'ognuno li chiama e invita mentre procedono,
pascendo qua e là per il cielo i loro corpi di fuoco.
Infatti è difficile dare per certo quale di tali cause operi
in questo mondo; ma che cosa possa avvenire e avvenga
per tutto l'universo nei vari mondi in vario modo creati,
questo io insegno, e proseguo a esporre diverse cause
che possono produrre i movimenti degli astri per l'universo;
fra esse tuttavia una sola dev'essere anche in questo mondo
la causa che dà vita al movimento delle stelle; ma spiegare quale
di esse sia, non è affatto proprio di chi avanza passo passo.
E perché la terra resti ferma nel mezzo del mondo,
bisogna che il peso svanisca a poco a poco e decresca,
e che di sotto essa abbia un'altra natura,
dall'inizio dell'esistenza congiunta e strettamente unita
con le parti aeree del mondo in cui è incorporata e vive.
Perciò non è di peso all'aria, né la preme giù;
come su ogni uomo non gravano le sue membra,
né la testa è di peso al collo, e, infine, non sentiamo
che tutto il peso del corpo poggia sui piedi;
mentre tutti i pesi che vengono dall'esterno e ci sono imposti,
ci molestano, quantunque sovente di gran lunga minori.
Di così grande importanza è quale potere abbia ciascuna cosa.
Così dunque la terra non s'aggiunse d'improvviso
come estranea, né da un altro luogo fu gettata su aria estranea,
ma insieme fu concepita sin dalla prima origine del mondo
e come parte determinata d'esso, quali si vedono in noi le membra.
Inoltre, scossa d'un tratto da un gran tuono,
la terra col suo moto scuote tutto quanto le sta sopra;
ciò non potrebbe essa fare in alcun modo, se non fosse
connessa con le parti aeree del mondo e col cielo.
In effetti mediante comuni radici aderiscono tra loro,
dall'inizio dell'esistenza congiunti e strettamente uniti.
Non vedi anche come il nostro corpo è sostenuto,
benché molto pesante, dalla sottilissima forza dell'anima,
perché essa gli è tanto congiunta e strettamente unita?
E infine, che cosa può sollevare il corpo con agile balzo,
se non la forza dell'anima che governa le membra?
Non vedi oramai quanto possa essere grande la forza
d'una natura sottile, quando è unita a un corpo pesante,
come l'aria è unita alla terra e la forza dell'animo a noi?
Né la ruota del sole può essere molto maggiore,
né il suo calore molto minore di quel che appare ai nostri sensi.
Giacché, da qualsiasi distanza possano i fuochi lanciarci
la luce e soffiare sulle membra l'ardente calore,
nulla la distanza toglie al corpo delle fiamme
per il suo intervallo, per nulla il fuoco è ristretto alla vista.
Quindi, poiché il calore del sole e la luce ch'esso spande
arrivano ai nostri sensi e i luoghi ne rifulgono, anche la forma
e la grandezza del sole devono esser viste di qui
quali sono davvero, sì che nulla puoi aggiungervi o toglierne.
E la luna, sia che viaggi illuminando i luoghi con luce estranea,
sia che emetta sua luce dal proprio corpo,
viaggia comunque con una forma per nulla maggiore
di quella con cui ci appare quando la vedono i nostri occhi.
Infatti tutte le cose che scorgiamo a grande distanza,
attraverso molta aria, si vedon confuse all'aspetto
prima che ne sembri diminuita la grandezza. Pertanto la luna,
giacché presenta chiaro aspetto e netta forma, dev'esser vista
da noi, di quaggiù, nell'alto così come essa è delineata
dagli estremi contorni e grande quanto lo è davvero.
Infine tutti i fuochi del cielo che vedi di quaggiù:
poiché tutti ‹i fuochi› che scorgiamo sulla terra,
finché il loro scintillìo ‹è› chiaro, finché la loro fiamma è scorta,
solo un tantino si vedono talora mutare in più o in meno
la loro grandezza, a seconda della distanza,
si può concludere che di pochissimo possono essere minori
di come ci appaiono o d'un'esigua e breve parte maggiori.
Neppure di questo ci si deve stupire, come il sole,
pur così piccolo, possa emettere tanta luce da riempire
dei suoi raggi i mari e tutte le terre e il cielo,
e inondare del suo ardente calore tutte le cose.
Può darsi infatti che in tutto il mondo s'apra di qui l'unica fonte
che faccia scaturire con flusso abbondante e prorompere la luce,
perché da ogni parte del mondo in tal modo gli elementi ignei
si raccolgono e in tal modo il loro ammasso
confluisce che l'ardore sgorga qui da un'unica sorgente.
Non vedi anche quanto ampiamente una piccola fonte
d'acqua talora inondi i prati e trabocchi sulla pianura?
Può anche essere che dal fuoco del sole, benché non grande,
una vampa invada l'aria col suo fervere ardente,
se per caso l'aria è così convenientemente acconcia
da potersi accendere colpita da vampe leggere;
come talora da una sola scintilla vediamo piombare
su messi e stoppie un incendio diffuso.
O forse il sole, che con rosea fiaccola splende nell'alto,
ha intorno a sé molto fuoco che ferve invisibile,
che non è indicato da alcun fulgore,
sì che, carico di calore, accresce solo la violenza dei raggi.
Né si dà un'unica e immediata possibilità di spiegare
in che modo il sole s'avvicini dalle regioni estive
al tropico invernale del Capricorno, e come, ritornando
di là, si volga alla meta solstiziale del Cancro,
e come si veda la luna percorrere tutti i mesi lo spazio
in cui il sole correndo consuma il tempo di un anno.
Non c'è, dico, un'unica causa assegnata a queste cose.
Prima di tutto, infatti, sembra che possa avvenire
ciò che afferma l'opinione di Democrito, uomo venerabile:
quanto più i vari astri sono vicini alla terra,
tanto meno essi possono esser tratti col turbine del cielo;
giacché la sua rapida e veemente forza diminuisce
e si perde in basso; e il sole è a poco a poco lasciato
indietro con le costellazioni posteriori per questo:
perché è molto meno alto delle costellazioni ardenti.
E ancor più di questo la luna: quanto più basso è il suo corso,
quanto più s'allontana dal cielo e s'appressa alla terra,
tanto meno essa può dirigere il corso gareggiando con gli astri.
Anzi, quanto più lento è il turbine da cui essa è tratta
trovandosi al disotto del sole, tanto più tutti gli astri
la raggiungono girandole intorno e la sorpassano.
E perciò avviene ch'essa sembri tornare a ogni astro
più celermente: perché sono gli astri che di nuovo la raggiungono.
Può anche avvenire che da regioni del mondo che attraversano
il corso del sole fluiscano a turno due correnti d'aria, ciascuna
in una stagione determinata: una che possa cacciare il sole
dalle costellazioni estive al tropico invernale e al rigido gelo;
l'altra che dalle gelide ombre del freddo lo ricacci
fino alle regioni cariche di calore e alle costellazioni ardenti.
E similmente si deve credere che la luna e le stelle,
che volgono in grandi orbite i grandi anni, possano muoversi
per correnti d'aria da opposte regioni alternamente.
Non vedi anche le nuvole più basse andare, per forza di venti
opposti, in direzione opposta a quella delle più alte?
Perché non potrebbero quegli astri, per le grandi orbite
dell'etere, volgersi per forza di correnti opposte fra loro?
Ma la notte ricopre d'enorme tenebra la terra,
o quando, al termine del lungo corso, il sole ha battuto
alle estreme regioni del cielo e, fiaccato, ha spirato i suoi fuochi
scossi dal viaggio e indeboliti dalla molta aria attraversata,
o perché lo costringe a volgere il corso sotto la terra
la stessa forza che ha portato il suo giro sopra la terra.
Parimenti a un'ora fissa Matuta diffonde la rosea
aurora per le plaghe dell'etere e propaga la luce,
o perché lo stesso sole, che ritorna di sotto la terra,
occupa prima il cielo coi raggi tentando di accenderlo,
o perché fuochi si raccolgono e molti semi
di calore son soliti confluire a un'ora fissa
e fanno che ogni giorno nasca la luce di un nuovo sole;
così è fama che dalle alte cime dell'Ida
fuochi sparsi si vedano al sorgere della luce,
poi s'uniscano come in un globo e formino il disco del sole.
Né tuttavia in queste cose dovrebbe suscitar meraviglia
che a un'ora così fissa questi semi di fuoco
possano confluire e rinnovare lo splendore del sole.
Giacché vediamo molti fenomeni che avvengono
a data fissa in tutte le cose. Fioriscono a data fissa
gli alberi e a data fissa fanno cadere il fiore.
A data non meno fissa il tempo ingiunge che cadano i denti,
e che l'impubere entri nella pubertà rivestendosi di molle lanugine,
e faccia scendere da entrambe le guance morbida barba.
Infine i fulmini, la neve, le piogge, le nuvole, i venti
si producono in periodi dell'anno non troppo incerti.
Infatti, poiché tali furono i primi principi delle cause
e così le cose si svolsero fin dall'origine prima del mondo,
anche oggi ritornano l'uno dopo l'altro in ordine fisso.
E del pari può darsi che s'allunghino i giorni e scemino le notti,
e poi s'accorcino i giorni e nel contempo crescano le notti,
perché lo stesso sole, sotto la terra e al disopra
descrivendo curve di lunghezza differente, spartisce
le plaghe dell'etere e divide la sua orbita in parti ineguali,
e ciò che da una parte ha tolto, lo aggiunge nell'opposta parte
dell'orbita, facendovi una corsa tanto più lunga,
finché non arriva a quel segno celeste, dove il nodo
dell'anno uguaglia ai giorni le ombre della notte.
Difatti a mezzo cammino fra i soffi dell'aquilone e dell'austro,
il cielo tiene separate ad uguale distanza le due mete
per la positura di tutto il cerchio delle costellazioni
in cui il sole scivolando conchiude il periodo di un anno,
illuminando di obliqua luce la terra e il cielo,
come spiega la dottrina di coloro che disegnarono tutte le regioni
del cielo, ornate delle costellazioni poste nell'ordine loro.
Può anche darsi che in certe parti l'aria sia più densa,
e perciò sotto la terra esiti il tremulo splendore del fuoco
e non possa penetrarla facilmente ed emergere a oriente;
perciò le notti nel tempo invernale lunghe indugiano,
finché non giunga il radioso ornamento del giorno.
Può ancora darsi che allo stesso modo in alterne stagioni dell'anno
siano soliti confluire, ora più lentamente, ora più rapidamente,
i fuochi che fanno sorgere il sole da una parte determinata.
Per questo avviene che sembrino dire il vero
*
Può darsi che la luna splenda perché percossa dai raggi del sole,
e che di giorno in giorno maggiormente volga ‹quella› luce
verso il nostro sguardo, quanto più s'allontana dal disco del sole,
finché di contro ad esso rifulge di pienissima luce
e sorgendo, alta sopra l'orizzonte, ne vede il tramonto;
poi, a poco a poco, essa deve parimenti ritrarsi e nascondere,
per così dire, la luce, quanto più vicino al fuoco del sole
ormai scivola dall'altra parte per il cerchio delle costellazioni;
tale è la teoria di coloro i quali immaginano che la luna
sia simile a una sfera e percorra la sua orbita al disotto del sole.
È dato anche supporre ch'essa possa ruotare con propria luce
e pur presentare differenti aspetti del suo splendore.
Può esserci infatti un altro corpo, che si muove e scivola
insieme con essa, in tutti i modi opponendosi ed eclissandola,
senza che sia possibile discernerlo, perché privo di luce si muove.
Ed essa può girare su sé stessa, come farebbe la sfera
d'una palla cosparsa per metà di candida luce
e, facendo girare la sua sfera, produrre varie fasi,
finché volge al nostro sguardo e agli occhi aperti
quella parte, qualunque sia, che è cinta di fuoco;
poi a poco a poco torce indietro e sottrae ai nostri occhi
la parte luminosa della sua massa sferica:
questo è ciò che la babilonica dottrina dei Caldei, confutando
la scienza degli astronomi, cerca di provare contro costoro,
quasiché non possa avverarsi ciò per cui lottano gli uni e gli altri
o ci sia un motivo per cui osi abbracciare meno questa che quella.
Infine, perché non possa ogni giorno una nuova luna
crearsi con ordine fisso di fasi e con forme fisse,
e ciascun giorno sparire quella che si era creata
e un'altra sostituirsi ad essa nella sua regione e posizione,
è difficile mostrare col ragionamento e provare con le parole,
quando ‹vedi› che tante cose si creano con ordine fisso.
Viene primavera e Venere, e l'alato nunzio di Venere
innanzi cammina, e sulle orme di Zefiro
la madre Flora davanti a loro tutta la via
cosparge di squisiti colori e odori.
Poi segue il calore arido e insieme la sua compagna,
la polverosa Cerere, ‹e› gli etesii soffi degli aquiloni.
Poi giunge l'autunno, e con esso cammina l'Evio Bacco.
Poi altre stagioni e i loro venti seguono,
l'altitonante Volturno e l'Austro possente col fulmine.
Infine la bruma porta le nevi e rinnova il pigro gelo;
la segue l'inverno che batte i denti per il freddo.
Perciò non c'è da meravigliarsi se a tempo fisso la luna
nasce e di nuovo a tempo fisso si dissolve,
quando tante cose possono a tempo fisso avvenire.
Parimenti devi credere che anche le eclissi del sole
e il celarsi della luna possano avvenire per diverse cause.
Infatti, perché la luna potrebbe escludere la terra dalla luce
del sole e a questo opporre il proprio capo alto dalla terra,
ponendo l'opaco disco davanti ai raggi ardenti,
e nello stesso tempo si dovrebbe credere che non possa
far ciò un altro corpo che scivoli sempre privo di luce?
E il sole stesso perché non potrebbe illanguidito
perdere i suoi fuochi a tempo fisso e poi rinnovare la luce,
quando, traversando l'aria, è passato per luoghi ostili alle fiamme,
i quali producono l'estinguersi e il perire dei fuochi?
E perché la terra potrebbe a sua volta spogliar di luce la luna
e tener nascosto il sole standogli sopra essa stessa, mentre la luna
nel suo mensile viaggio scivola per le rigide ombre del cono,
e nello stesso tempo non potrebbe un altro corpo
passar sotto la luna o scivolare sopra il disco del sole,
così da interromperne i raggi e la luce che esso spande?
E d'altronde, se la stessa luna rifulge di proprio splendore,
perché non potrebbe illanguidirsi in una determinata parte
del mondo, mentre attraversa luoghi nemici alla sua luce?

[continua: Libro V,2]


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