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Pubblicata il: luglio 11, 2013 |
Da: Redazione
Categoria: Poesie latine | Totali visite: 1580 | Valorazione
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Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
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Tito Lucrezio Caro (55? - 99? ac)
LIBRO VI
Per prima Atene dal nome illustre dispensò un giorno
i frutti delle messi ai mortali infelici
e rinnovò la vita e istituì le leggi;
e per prima dette le dolci consolazioni della vita,
quando generò l'uomo dotato di tale mente,
che un giorno rivelò con veridica bocca ogni cosa;
sebbene egli sia morto, per le divine sue scoperte
la sua gloria, divulgata in antico, ormai s'innalza al cielo.
Difatti, quando egli vide che le cose richieste dal bisogno
per il sostentamento erano già quasi tutte assicurate ai mortali
e che, per quanto era possibile, la loro vita era salda e sicura;
che gli uomini potenti abbondavano di ricchezze e onore e fama,
e s'ergevano orgogliosi per il buon nome dei figli,
e tuttavia nessuno nell'intimità aveva meno inquieto il cuore,
e, a dispetto dell'animo, affliggevano la propria vita ‹senza alcuna›
tregua ed eran costretti a smaniare con penosi lamenti,
comprese che lì il vaso stesso cagionava il male
e che dal male d'esso eran corrotte nell'interno
tutte le cose che giungevano raccolte di fuori, anche i beni;
in parte perché lo vedeva screpolato e forato,
sì che non si poteva mai riempire in nessuna maniera;
in parte perché scorgeva ch'esso al suo interno contaminava,
per così dire, di un repellente sapore qualsiasi cosa avesse accolta.
Purificò, dunque, gli spiriti con veridici detti
e stabilì il termine del desiderio e del timore,
e rivelò quale sia il bene sommo a cui tendiamo tutti,
e additò la via per la quale su breve sentiero
possiamo ad esso puntare con diritto cammino,
e quanto male sia diffuso nelle cose mortali,
che sorge e variamente vola per naturale caso
o forza, perché tale è l'assetto di natura,
e da quali porte convenga far sortite per affrontare ogni male;
e provò che per lo più vanamente il genere umano
agita nel petto amari flutti di affanni.
Difatti, come i fanciulli trepidano e tutto temono
nelle cieche tenebre, così noi nella luce talora abbiamo paura
di cose che per nulla son da temere più di quelle che i fanciulli
nelle tenebre paventano e immaginano prossime ad avvenire.
Questo terrore dell'animo, dunque, e queste tenebre
non li devono dissolvere i raggi del sole, né i lucidi dardi
del giorno, ma l'aspetto e l'intima legge della natura.
Quindi viepiù seguiterò a tessere fino al fondo con le parole l'opera intrapresa.
E poiché ho insegnato che gli spazi del mondo
sono mortali ‹e› il cielo consiste di un corpo che nasce,
e tutte le cose che in esso avvengono, ed è necessario avvengano,
per la maggior parte le ho spiegate, ascolta inoltre ciò che resta,
giacché una volta montato sul glorioso carro
*
dei venti sorgano, ‹come› tutto si plachi di nuovo
*
ciò che era stato, si sia cambiato, placatosi il furore;
e tutte le altre cose che avvenire in terra e in cielo vedono
i mortali, quando stanno spesso sospesi con spiriti impauriti:
quelle cose che umiliano gli animi col timore degli dèi
e depressi li abbattono a terra,
poiché l'ignoranza delle cause costringe ad attribuire
gli eventi al potere degli dèi e ad ammetterne il regno.
[Fenomeni di cui in nessun modo possono scorgere le cause,
e credono che si producano per volere divino.]
Infatti coloro che bene hanno appreso che gli dèi vivono una vita serena,
se tuttavia frattanto si chiedono meravigliati in che modo
ogni cosa possa svolgersi, specialmente fra quelle cose
che sopra il nostro capo si vedono nelle plaghe eteree,
nuovamente ricadono nelle antiche superstizioni,
e accettano padroni dispotici, e nella loro miseria
li credono onnipotenti, ignorando che cosa possa essere,
che cosa non possa, infine in qual modo ciascuna cosa
abbia un potere finito e un termine, profondamente confitto;
quindi viepiù errando son trascinati da cieco opinare.
Se non rigetti dalla mente queste cose e non scacci lontano
i pensieri indegni degli dèi ed estranei alla loro pace,
da te svilita la santa potenza degli dèi
spesso ti nocerà; non già perché la somma forza degli dèi possa
subire oltraggio, sì che per l'ira aneli a infliggere pene tremende,
ma perché tu stesso, mentre essi son quieti in placida pace,
ti immaginerai che agitino grandi flutti d'ira,
né ai templi degli dèi ti accosterai con placido petto,
né potrai accogliere con tranquilla pace dell'animo
i simulacri che dal loro santo corpo fluiscono
nelle menti degli uomini, messaggeri della forma divina.
Si può allora vedere quale vita ne segua.
Certo, molte cose ho già dette perché la dottrina verissima
la ricacci lontano da noi,
e tuttavia molte ne restano e si devono ornare con versi
politi: bisogna comprendere l'intima legge e ‹l'aspetto›
del cielo, occorre cantare le tempeste e i fulmini lucenti,
quali effetti abbiano e quale causa in ogni caso li muova;
perché tu, diviso in parti il cielo, non cerchi, trepido
e dissennato, di dove sia giunta la fiamma volante o in che parte
si sia di qui volta, in che modo sia entrata in luoghi chiusi
e come, dopo aver spadroneggiato, se ne sia uscita.
[Fenomeni di cui in nessun modo possono scorgere le cause,
e credono che si producano per volere divino.]
Tu a me, mentre corro verso la candida linea della meta finale,
mostra il percorso ch'è dinanzi, o Musa avveduta,
Calliope, requie degli uomini e piacere degli dèi,
perché, da te guidato, io consegua con insigne gloria la corona.
Per cominciare, i ceruli spazi del cielo sono scossi dal tuono
perché aeree nuvole, volando in alto, si scontrano,
quando i venti combattono l'uno contro l'altro.
E infatti il suono non viene dalla parte serena del cielo,
ma, dovunque le nuvole sono in schiera più densa,
di là tanto più spesso viene il fragore con un gran rimbombo.
Inoltre non possono essere le nuvole né di corpo denso
quanto è quello delle pietre e del legno, né, d'altra parte,
tanto tenui quanto le nebbie e i fumi volanti;
dovrebbero, infatti, cadere premute dal peso inerte, come fanno
le pietre, o come il fumo non potrebbero restar compatte,
né contenere nevi gelide e rovesci di grandine.
Emettono anche un suono sulle distese dell'ampia terra,
come a volte un velario, teso in grandi teatri,
crepita scosso fra i pali e le travi;
talora, stracciato dai venti impetuosi, folleggia
ed imita ‹il suono› che emette la carta nel lacerarsi.
Difatti, anche un tale suono puoi riconoscere nel tuono,
o quello che si ode quando i venti rivoltano a sferzate
e battono nell'aria una veste appesa o carte svolazzanti.
Avviene anche, infatti, talora ‹che› possano le nuvole, non tanto
scontrarsi fronte contro fronte, quanto andare a fianco a fianco,
con movimenti opposti sfregandosi i corpi lentamente,
sì che quel secco suono raschia gli orecchi e si trascina
a lungo, finché esse sono uscite dalle zone ristrette.
Anche in questa maniera, scosse da forte tuono, tutte le cose
spesso paiono tremare, e pare che a un tratto divelte
le vastissime mura dell'ampio mondo siano andate in pezzi:
quando, di sùbito adunata, una procella di forte vento
si è lanciata nelle nuvole e, rinchiusa lì dentro,
con turbine roteante più e più da ogni parte sforza
la nuvola a incavarsi e a farsi spessa tutt'intorno;
poi, quando la violenza e l'impeto fiero del vento l'hanno
indebolita, con suono che tremendo crepita lacerandosi scoppia.
Non è strano, giacché una piccola vescichetta piena d'aria
spesso così fa un gran suono esplodendo d'un tratto.
C'è ancora una maniera in cui si producono i tuoni:
quando i venti soffiano attraverso le nuvole. Vediamo infatti
spesso nuvole in molti modi ramose e irte vagare;
similmente, è chiaro, quando i soffi del Cauro soffiano attraverso
una folta foresta, le foglie fanno un brusìo e i rami si schiantano con strepito.
Accade anche talora che la forza impetuosa d'un vento possente
squarci la nuvola rompendola con assalto diretto.
Difatti, quanto possa lì il soffio del vento, è mostrato da quello
che è manifesto qui, in terra, dov'esso è più leggero e tuttavia
svelle alti alberi dalle radici profonde e li inghiotte.
Nelle nuvole ci sono anche flutti, che nel frangersi fanno
una sorta di grave rimbombo; come avviene nei profondi
fiumi e nel vasto mare, quando si frangono le onde.
Ciò avviene anche quando di nuvola in nuvola piomba l'ardente
forza del fulmine; se per caso la nuvola ha accolto la fiamma
entro acqua abbondante, sùbito con grande clamore la spegne;
come talora il ferro che esce incandescente dalle fornaci ardenti
stride, se in fretta lo abbiamo immerso in acqua gelida.
Se poi una nuvola più arida accoglie la fiamma,
d'un tratto s'incendia e brucia con un gran rumore,
come se per monti chiomati di lauri una fiamma si diffonda
sotto il turbinìo dei venti, bruciandoli nell'impeto suo grande;
né alcuna cosa più che il delfico alloro di Febo
è bruciata con suono terribile dalla fiamma crepitante.
Infine, spesso un ampio infrangersi di ghiaccio e un precipitare
di grandine produce un rumore nelle grandi nuvole, lassù.
Difatti, quando il vento le comprime, s'infrangono le montagne
di nembi rapprese in spazio angusto e miste con grandine.
Similmente lampeggia quando le nuvole, scontrandosi fra loro,
hanno scosso via da sé molti semi di fuoco; come se pietra
o ferro percuota una pietra; difatti anche allora una luce
guizza, e il fuoco sparge qua e là risplendenti scintille.
Ma il tuono, avviene che lo percepiamo con gli orecchi dopo
che gli occhi vedono lampeggiare, perché sempre agli orecchi
i suoni arrivano più lenti che alla vista ciò da cui è stimolata.
Questo tu puoi conoscerlo anche di qui: se scorgi qualcuno
lontano con una scure a due tagli tagliare un alto albero,
avviene che tu veda il colpo prima che il suono dell'urto
pervenga agli orecchi; così anche vediamo il lampo prima
di udire il tuono, che prorompe con la fiamma, al tempo stesso,
per simile causa, nato dallo stesso scontro.
Anche in questo modo le nuvole cospargono i luoghi di luce
che vola, e la tempesta lampeggia di tremuli guizzi:
quando il vento è piombato in una nuvola e, roteando lì dentro,
ha fatto che la nuvola incavata, come prima ho insegnato,
s'ispessisse, esso si riscalda per il proprio rapido moto: così
vedi ogni cosa per il moto scaldarsi molto e ardere; e una palla
di piombo turbinando in lunga corsa persino si fonde.
Così il vento infocato, quando ha squarciato la nuvola nera,
d'un tratto scaccia, per così dire, a forza e sparge qua e là
quei semi di fuoco che fanno i guizzanti lampi di fiamma;
viene poi il suono, che colpisce gli orecchi più lento
delle immagini che arrivano alla vista dei nostri occhi.
Ciò avviene, s'intende, quando le nuvole son dense e, insieme,
accumulate in alto le une sulle altre, con slancio meraviglioso;
che non t'inganni il fatto che noi dal basso vediamo
come sono ampie più che quanto si alzano accumulate in su.
Contempla, infatti, quando i venti porteranno
di traverso per l'aria nuvole somiglianti a monti,
o quando per grandi monti le vedrai starsene
accumulate le une sopra le altre e premere di sopra,
immote ai propri posti, essendo da ogni lato sepolti i venti:
allora potrai riconoscere le loro grandi moli
e discernervi grotte formate come da rupi sospese;
quando, scoppiata la tempesta, i venti le hanno riempite,
con grande rumore s'infuriano rinchiusi nelle nuvole,
e minacciano in quelle gabbie al modo delle belve;
ora di qui, ora di lì mandan ruggiti fra le nuvole,
e in cerca di un'uscita girano tutt'intorno, e ‹dalle› nuvole
trascinano semi di fuoco e così molti ne raccolgono,
e ruotano la fiamma dentro le cave fornaci,
finché, lacerata la nuvola, erompono in lampi corruschi.
Anche per questa causa avviene che voli giù in terra
quel celere aureo colore di liquido fuoco,
perché le nuvole stesse devono avere in sé moltissimi semi
di fuoco; difatti, quando sono del tutto prive di umidità,
‹è› per lo più di fiamma il loro colore e splendente.
E invero dalla luce del sole devono accogliere in grembo
molti semi, sì che naturalmente rosseggiano e spargono fuochi.
Quando, dunque, il vento che le spinge, le ha ammassate
e compresse in un unico luogo addensandole, spremono fuori
e spargono i semi che fanno lampeggiare i colori della fiamma.
Del pari lampeggia anche quando si fan rade le nubi in cielo.
Giacché, quando il vento le divide lievemente mentre vanno
e le disgrega, è necessario che a forza cadano quei semi
che fanno il lampo. Allora senza odioso terrore
e rumore lampeggia, e senza alcun tumulto.
Quanto al resto, ‹di quale› natura siano dotati
i fulmini, lo svelano i colpi e gli impressi segni
di bruciato e le impronte esalanti grevi odori di zolfo.
Segni di fuoco infatti son questi, non di vento, né di pioggia.
Inoltre, spesso incendiano anche i tetti delle case
e con celere fiamma spadroneggiano anche dentro le dimore.
Questo fuoco, vedi, più sottile che ogni altro fuoco sottile,
la natura lo ha foggiato con corpi minuti e veloci,
tale che nulla mai gli può resistere.
Passa infatti il fulmine possente per i muri delle case,
come il grido e le voci, passa per le rocce, per oggetti di bronzo,
e in un momento fonde il bronzo e l'oro;
similmente fa che dai vasi intatti il vino d'un tratto
si dilegui, certo perché il suo calore, arrivando,
facilmente dilata tutt'intorno e rarefà le pareti
del vaso e, penetrato nel vaso stesso,
celermente scioglie e disperde gli elementi del vino.
Ma questo effetto si vede che neppure in molto tempo
può produrlo il calore del sole, così possente d'ardore corrusco:
tanto più celere e predominante è la forza del fulmine.
Ora in che modo i fulmini nascano e diventino tanto
impetuosi da potere con l'urto squarciare le torri,
demolire le case, svellere pali e travi,
e smuovere e travolgere i monumenti degli eroi,
togliere la vita agli uomini, abbattere qua e là le greggi,
per quale forza possano fare tutte le altre cose di questo genere,
io spiegherò, e non ‹ti› tratterrò più oltre con le promesse.
Si deve credere che i fulmini nascano da nuvole fitte
e accumulate in alto: infatti non piombano mai
dal cielo sereno, né da nuvole di tenue densità.
Che senza dubbio ciò avvenga, lo insegna un fatto manifesto,
giacché allora per tutta l'aria si addensano nuvole,
sì che potremmo credere che da ogni parte le tenebre
abbiano tutte lasciato l'Acheronte e abbiano empito
le grandi caverne del cielo: a tal punto, sorta la tetra
notte dei nembi, incombono dall'alto volti di cupa paura,
quando la tempesta s'accinge a porre in movimento i fulmini.
Inoltre spessissimo anche un nero nembo incombente sul mare,
come un fiume di pece calato dal cielo, cade pieno
di tenebre sulle onde lontano e trascina
una fosca tempesta gravida di fulmini e di bufere,
essendo per primo esso stesso colmo di fuochi e di venti,
sì che persino sulla terra si rabbrividisce e si corre ai ricoveri.
Così, dunque, si deve credere che la tempesta si levi
alta sul nostro capo. Né, infatti, le nuvole seppellirebbero
la terra in tanta oscurità, se non fossero accumulate
lassù, molte su molte, sì da nascondere il sole;
né arrivando potrebbero sommergerla con tanta pioggia
da far sì che i fiumi straripino e i campi siano inondati,
se l'etere non fosse colmo di nuvole ammassate in alto.
Qui, dunque, tutto è pieno di venti e di fuochi;
per questo da ogni canto sorgono fremiti e lampi.
Difatti, sopra ho insegnato che le cave nuvole contengono
in sé moltissimi semi di calore, e molti è necessario
che ne ricevano dai raggi del sole e dalla loro fiamma.
Perciò, quando lo stesso vento che le ammassa a caso
in un luogo qualunque, ha spremuto fuori molti semi
di calore e s'è mischiato al tempo stesso con quel fuoco,
un vortice vi penetra e rotea in spazio angusto,
e dentro le fornaci ardenti aguzza il fulmine.
In due modi infatti si accende: perché per il suo stesso
rapido moto si scalda e per il contatto col fuoco.
Poi, quando il vento possente s'è molto scaldato ‹e› l'impeto
forte del fuoco l'ha investito, allora, come maturo, il fulmine
squarcia subitamente la nuvola, e una fiamma prorompe
e vola illuminando ogni luogo con luci corrusche.
La segue un violento fragore, sicché pare che la volta del cielo
esploda d'un tratto e di sopra crollando ci schiacci.
Poi un tremore violentemente investe la terra, e rumori
percorrono l'alto cielo; ché allora quasi tutte le nuvole
tempestose scrollate tremano e fremiti si spandono.
A quella scrollata segue pioggia violenta e abbondante,
sì che tutto l'etere sembra convertirsi in pioggia
e così precipitando riportare sulla terra il diluvio:
tanta, per il fendersi della nuvola e la procella di vento,
se ne versa, quando col colpo ardente il tuono vola innanzi.
Talora, inoltre, la forza impetuosa del vento piomba
dall'esterno su una nuvola calda per fulmine maturo;
e, quando l'ha squarciata, sull'istante cade quell'igneo
vortice che col nome dato dai padri chiamiamo fulmine.
Lo stesso avviene in altre direzioni, ovunque quella forza abbia spinto.
Avviene anche talora che la forza del vento, lanciata senza fuoco,
s'infuochi tuttavia nel lungo percorso attraverso lo spazio,
mentre viene perdendo nella corsa certi corpi grandi,
che non possono al pari degli altri penetrare nell'aria,
ed altri dall'aria stessa raschiando via porta,
piccoli, che, mischiandosi in volo, fanno il fuoco;
in modo non molto diverso spesso una palla di piombo
si fa rovente nella corsa, quando, lasciando andare
molti corpi di freddo, ha preso fuoco nell'aria.
Avviene anche che la forza stessa dell'urto susciti il fuoco,
quando fredda s'abbatte la forza del vento lanciata senza fuoco,
certo perché, quando ha percosso con colpo veemente,
dallo stesso vento possono confluire elementi di calore,
e insieme da quella cosa che allora riceve il colpo;
come, quando battiamo una pietra col ferro, sprizza
il fuoco, né, perché la forza del ferro è fredda, per questo
meno accorrono sotto il suo colpo semi di caldo fulgore.
Così dunque una cosa dev'essere accesa anche dal fulmine,
se per caso è adatta e si presta alle fiamme.
Né facilmente la forza del vento può essere del tutto, appieno
fredda, quando con tanta forza s'è lanciata dall'alto:
se non prende fuoco prima, nella corsa,
tuttavia arriva intiepidita e mista a calore.
Ma rapido è il moto del fulmine e violento il suo colpo,
e con celere caduta comunemente i fulmini compiono la loro corsa,
perché nelle nuvole in genere già prima la loro forza da sé
si muove e si raccoglie e fa un grande sforzo per partire,
e poi, quando la nuvola non può più contenere l'impeto crescente,
la forza si sprigiona e quindi vola con impeto mirabile,
come i proiettili che corrono lanciati da macchine possenti.
Aggiungi che è fatto di elementi piccoli e lisci,
né è facile che alcunché resista a tale natura:
fugge infatti frammezzo e penetra per gl'interstizi dei pori;
non s'indugia, dunque, e non s'arresta per molti
impedimenti: perciò con celere impeto scivola e vola.
Inoltre, poiché in generale tutti i corpi pesanti
tendono per natura verso il basso, se poi s'aggiunge un urto,
la velocità si raddoppia e quell'impeto diventa più violento,
sì che più veemente e più rapido disperde coi suoi colpi
ogni ostacolo che lo rallenta, e prosegue il suo viaggio.
Infine, poiché viene con lungo slancio, deve acquistare
una velocità via via maggiore, che cresce con l'andare
e aumenta le forze possenti e fa più forte il colpo.
Infatti essa fa sì che tutti i semi del fulmine si muovano
in linea retta, quasi verso un luogo solo,
tutti spingendoli, mentre volano, nella medesima corsa.
Forse anche, mentre viene, il fulmine trascina dall'aria stessa
certi corpi che con gli urti ne accendono il rapido moto.
E attraversa cose senza danneggiarle e molti oggetti trapassa
lasciandoli interi, perché il liquido fuoco trascorre per i pori.
E molte cose il fulmine trafigge, quando i suoi stessi atomi
son piombati sugli atomi delle cose, ove fanno un tessuto compatto.
Discioglie inoltre facilmente il bronzo e in un istante
fonde l'oro, perché la sua forza è fatta d'una sottile
distribuzione di corpi piccoli e di elementi lisci,
che facilmente s'insinuano e, insinuatisi, in un istante
disciolgono tutti i nodi e allentano i legami.
E soprattutto d'autunno è scossa da ogni parte la dimora
del cielo trapunta di stelle fulgenti e con essa tutta la terra;
parimenti quando si apre la fiorita stagione di primavera.
Nella stagione fredda, infatti, mancano i fuochi, e nella calda
vengon meno i venti, né le nuvole hanno corpo tanto denso.
Quando, dunque, le stagioni del cielo stanno in mezzo
fra quelle due, allora tutte concorrono le varie cause del fulmine.
Giacché appunto la stagione di transizione frammischia freddo ‹e› caldo,
entrambi necessari alla nuvola per fabbricare i fulmini,
sì che ‹v'è› discordia fra gli elementi, e l'aria, furibonda
per fuochi e per venti, fluttua con grande tumulto.
La prima parte del caldo è infatti l'ultima del gelo,
e questo è il tempo primaverile; quindi devono combattere
‹gli elementi› dissimili fra loro e mischiati agitarsi.
Anche l'estremo calore scorre mischiato col primo freddo,
e questa è la stagione chiamata autunno;
anche qui gli inverni pungenti sono in conflitto con le estati.
Perciò questi si devono chiamare ‹punti critici› dell'anno,
né è strano se in quel tempo si producono moltissimi
fulmini e una tempesta torbida infuria nel cielo,
poiché si fa scompiglio con incerta guerra da entrambi i lati,
di qui con le fiamme, di lì coi venti e l'acqua frammista.
Questo è discernere bene la vera natura dell'igneo fulmine
e vedere con quale forza esso produca ogni suo effetto.
Ciò non s'ottiene col ripercorrere invano le formule tirrene
e con l'indagarvi segni dell'occulto volere degli dèi, cercando
di dove sia giunta la fiamma volante o in che parte
si sia di qui volta, in che modo sia entrata in luoghi chiusi
e come, dopo aver spadroneggiato, se ne sia uscita,
o che danno possa fare il colpo del fulmine dal cielo.
Ma, se sono Giove e gli altri dèi che scuotono
con terrificante fragore le fulgenti volte celesti
e scagliano il fuoco dovunque ognuno d'essi voglia,
perché non fanno che quanti non aborrirono
da un detestabile delitto siano colpiti ed esalino le fiamme
della folgore dal petto trafitto, acerbo monito ai mortali?
Perché, per contro, colui cui la coscienza non rinfaccia nulla
di disonesto, è avvolto nelle fiamme, innocente, ed è stretto,
subitamente afferrato dal turbine celeste e dal fuoco?
Perché colpiscono anche luoghi solitari e s'affaticano invano?
Forse allora esercitano le braccia e rinsaldano i muscoli?
Perché sopportano che il dardo del padre si spunti al suolo?
Perché egli stesso permette ciò e non lo riserva per i nemici?
E poi, perché, quando il cielo è da ogni parte puro,
Giove non scaglia mai il fulmine sulla terra, né sparge i tuoni?
Forse, appena le nuvole gli si son messe di sotto, allora egli stesso
vi discende, per dirigere di lì, da vicino, i colpi del dardo?
E a che scopo poi lo lancia nel mare? Che cosa rimprovera
alle onde e alla liquida massa e alle distese fluttuanti?
E, se vuole che ci guardiamo dal colpo del fulmine,
perché esita a far sì che ne possiamo discernere il lancio?
Se invece vuole abbatterci col fuoco quando non l'aspettiamo,
perché tuona da quella parte, sì che possiamo evitarlo;
perché solleva prima tenebre e fremiti e rimbombi?
E come potresti credere che lanci fulmini simultanei
in molte direzioni? Forse oseresti sostenere che non sia mai
avvenuto questo, che più colpi scoppiassero ad un tempo?
Ma spesso è avvenuto, ed è necessario che avvenga,
che, come piove in molte regioni e cadono acquazzoni,
così i fulmini scoppino numerosi ad un tempo.
Infine, perché col fulmine esiziale abbatte i sacri templi
degli dèi e le proprie splendide sedi
e infrange le ben foggiate statue degli dèi
e toglie alle proprie immagini con violenta ferita la bellezza?
E perché per lo più colpisce i luoghi elevati e sulle cime
dei monti vediamo le più frequenti tracce del suo fuoco?
Procedendo, è facile da queste cose intendere
in che modo quelli che i Greci denominarono dai loro effetti
"presteres", scendano sul mare, lanciati dall'alto.
Infatti avviene talora che una specie di colonna, mandata giù,
discenda dal cielo sul mare; e intorno ad essa ribollono
i flutti, sollevati dai venti che spirano violenti,
e tutte le navi che allora sono state prese in quel tumulto,
son travagliate e corrono il pericolo più grave.
Ciò avviene, talora, quando la forza sfrenata del vento non può
rompere la nuvola che ha cominciato a rompere, ma la preme
in basso, sì che sembra una colonna mandata dal cielo giù in mare,
a poco a poco, come se qualcosa col pugno e con la pressione
d'un braccio sia spinta dall'alto in giù e allungata fin alle onde;
e, quando la forza del vento ha squarciato la nuvola, di lì esso
prorompe sul mare e produce nelle onde uno stupefacente ribollìo.
Infatti un turbine che gira su sé stesso discende
e tira giù con sé quella nuvola dal corpo cedevole;
e appena l'ha cacciata giù, gravida, alla superficie del mare,
d'un tratto il turbine s'immerge tutto nell'acqua e con fragore
enorme sommuove l'intero mare costringendolo a ribollire.
Avviene anche che un vortice di vento s'avvolga da sé stesso
dentro le nuvole, raschiando via semi di nuvola dall'aria,
ed imiti, per così dire, il "prester" disceso giù dal cielo.
Quando esso è piombato sulla terra e s'è dissolto,
vomita immane violenza di turbine e procella.
Ma, poiché avviene molto di rado e necessariamente i monti
ne impediscono la vista sulla terra, esso appare più spesso
nell'ampia prospettiva del mare e nel cielo aperto.
Le nuvole si formano quando molti corpi, volando
in questo spazio di cielo che sta sopra di noi, si sono incontrati
d'un tratto: corpi alquanto ruvidi, sì che, sebbene intrecciati
tenuemente, possono tuttavia tenersi stretti, attaccati fra loro.
Questi fanno dapprima che si formino piccole nuvole;
poi esse si stringono fra loro e si aggregano
e congiungendosi crescono e son trasportate dai venti
continuamente, finché insorge una tempesta furiosa.
Avviene anche che le cime montane, quanto più sono,
in ogni caso, vicine al cielo, tanto più a quell'altezza fumino
assiduamente per la densa caligine di una nuvola fulva,
perché, quando le nuvole cominciano a formarsi,
prima che gli occhi possano vederle, tenui come sono, i venti
trasportandole le ammassano presso le più alte cime montane.
Qui alfine avviene che esse, levatesi in folla più numerose
e addensate, possano mostrarsi e nel medesimo tempo sembrino
dal vertice stesso del monte sorgere nel cielo puro.
In effetti, che i luoghi a quell'altezza siano aperti ai venti,
lo mostrano il fatto stesso e i sensi, quando saliamo su alti monti.
Inoltre, che la natura sollevi moltissimi corpi
anche da tutto il mare, lo mostrano le vesti appese sul lido,
quando si impregnano di umidità che aderisce.
Perciò è ancor più chiaro che ad accrescere le nuvole
molti corpi si possono anche levare dal salso mare fluttuante;
giacché tali specie di umidità hanno natura in tutto affine.
Inoltre, da tutti i fiumi e insieme dalla stessa
terra vediamo sorgere nebbie e vapori,
che, di lì emanati come un alito, son trasportati in alto,
e inondano il cielo della loro caligine, e formano,
radunandosi a poco a poco, le alte nuvole;
li preme, infatti, dall'alto anche il calore dell'etere stellato
e, addensandoli, per così dire, vela l'azzurro d'un tessuto di nembi.
Avviene anche che in questo cielo vengano dall'esterno
quei corpi che fanno le nuvole e i nembi volanti.
Difatti ho insegnato che il loro numero è innumerevole
e che lo spazio in tutto il suo estendersi è infinito;
e ho mostrato con quanta velocità volino i corpi, e come ratti
sogliano passare ‹attraverso› uno spazio indicibile.
Non fa dunque meraviglia se spesso in breve tempo
la tempesta e le tenebre coprono con sì grandi nembi
mari e terre incombendo dall'alto,
giacché dappertutto, per tutti i meati dell'etere
e, per così dire, per gli spiragli dell'ampio mondo intorno,
agli elementi sono state concesse l'uscita e l'entrata.
Ora, suvvia, spiegherò in che modo l'acqua della pioggia
si formi nelle alte nuvole e come l'acquazzone ne cada giù,
precipitando sulla terra. Prima di tutto proverò che molti
semi d'acqua sorgono insieme con le nuvole stesse
da tutte le cose e che così crescono di pari passo entrambe,
e le nuvole e l'acqua, quanta ce n'è nelle nuvole,
come di pari passo col sangue cresce il nostro corpo,
e anche il sudore e infine ogni altro liquido ch'è nelle membra.
Inoltre spesso le nuvole s'imbevono anche di molta
umidità marina, come velli di lana sospesi,
quando i venti le trasportano sul vasto mare.
In simile maniera da tutti i corsi d'acqua l'umidità si solleva
alle nuvole. E, quando molto numerosi semi d'acqua
in molti modi si sono là raccolti, accresciuti da ogni dove,
le nuvole rigonfie gareggiano a rovesciare ‹la pioggia›
per due cause: difatti la forza del vento le spinge, e per altro
la massa stessa dei nembi, addensata in folla più numerosa,
urge e preme dall'alto e fa scorrere fuori gli acquazzoni.
Inoltre, anche quando sono diradate dai venti o si sciolgono
al calore del sole che le colpisce dall'alto, le nuvole
emettono l'acqua della pioggia, e stillano, come se cera,
struggendosi su ardente fuoco, goccioli in abbondanza.
Ma cade un violento acquazzone, quando con violenza ambedue
le forze premono le nuvole, l'accumulo e il forte vento.
D'altra parte le piogge son solite durare per molto tempo
e prolungarsi assai, quando affluiscono molti semi d'acqua,
e nuvole e nembi s'ammucchiano gli uni sugli altri, stillanti,
e accorrono di continuo, da ogni dove, e quando la terra
fumante esala dappertutto, restituendo l'umidità.
In quel punto, se il sole coi raggi fra la tempesta opaca
rifulge contro il gocciolìo dei nembi che gli stanno di fronte,
allora nelle nere nuvole compaiono i colori dell'arcobaleno.
Tutte le altre cose che in alto crescono e in alto nascono,
e quelle che si formano dentro le nubi, tutte, proprio
tutte, la neve, i venti, la grandine e le gelide brine
e la grande forza del gelo, quel grande indurimento delle acque,
quell'indugio che dovunque raffrena i fiumi impazienti,
queste cose, malgrado tutto è molto facile scoprirle, e vedere
con la mente come tutte avvengano e perché nascano,
quando tu abbia bene appreso le proprietà degli elementi.
Ora, suvvia, ascolta quale sia la causa dei terremoti.
E anzitutto induciti a credere che la terra,
di sotto, come di sopra, è dappertutto piena di spelonche
ventose, e racchiude nel grembo molti laghi
e molti stagni e rupi e massi dirupati;
e si deve pensare che molti fiumi, nascosti sotto il dorso
della terra, travolgano con violenza flutti e massi sommersi.
Difatti, che la terra sia ovunque simile a sé, lo esige la realtà stessa.
Essendo, dunque, tali cose connesse e poste sotto di essa,
la terra di sopra trema scossa da grandi rovine,
quando di sotto il tempo ha scalzato vaste spelonche;
giacché cadono interi monti, e alla grande scossa d'un tratto
tremori di lì si diffondono serpeggiando per ampio spazio.
Ed è naturale, poiché scosse dai carri tremano le case
lungo la strada, per un peso non grande tutte quante,
e non meno sussultano i carri stessi se un sasso della strada
fa sobbalzare i cerchi ferrati delle ruote dall'un lato e dall'altro.
Avviene anche, quando in grandi e vasti laghi rotola
una massa enorme che il tempo ha distaccata dalla terra,
che anche la terra si agiti e vacilli sotto il fluttuare dell'acqua;
come un vaso talora non può star fermo, se il liquido
dentro non ha cessato di agitarsi con instabile fluttuare.
Inoltre, quando il vento per le caverne sotterranee
si raccoglie e da una parte sola si rovescia e sospinge,
premendo con grande forza sulle spelonche profonde,
la terra inclina ove spinge la precipite forza del vento.
Allora le case che sono costruite sulla terra,
e tanto più quelle che più s'innalzano verso il cielo,
s'inclinano e restan quasi sospese, tratte verso la stessa parte,
e le travi, spinte fuori, pendono pronte a cadere.
E si rifugge dal credere che un tempo di distruzione e rovina
incomba sulla natura del vasto mondo,
quando si vede pencolare una massa di terra tanto grande!
E se i venti non cessassero di spirare, nessuna forza potrebbe
porre freno alle cose, né ritrarle dalla rovina mentre cadono.
Ora, poiché alternamente cessano di spirare e rinforzano
e, come raccolti, ritornano all'attacco e respinti cedono,
perciò la terra minaccia rovina più spesso che non rovini
davvero; s'inclina infatti e ritraendosi si raddrizza
e, dopo esser caduta in avanti, riprende la propria posizione
tornando in equilibrio. Così, dunque, le case vacillano tutte,
in cima più che al mezzo, al mezzo più che alla base, alla base pochissimo.
C'è anche un'altra causa dello stesso grande tremore:
quando il vento con una subitanea massa grandissima d'aria,
sorta o dall'esterno o dentro la terra stessa,
si è scagliato nelle cavità della terra, ed ivi freme
dapprima con tumulto fra le grandi spelonche
‹e› turbinando scorrazza; poi l'impetuosa forza
sfrenata erompe fuori e, insieme squarciando
profondamente la terra, produce una grande voragine.
È ciò che accadde in Siria, a Sidone, e avvenne ad Egio,
nel Peloponneso, città che furono distrutte
da tale erompere di vento e dal terremoto che insorse.
E, oltre a queste, molte mura crollarono per grandi
movimenti nella terra, e molte città s'inabissarono
in fondo al mare coi propri abitanti.
E, anche se non prorompono, tuttavia l'impeto stesso dell'aria
e la fiera forza del vento si diffondono per i fitti canali
della terra come un brivido, e di lì provocano un tremore;
come il freddo, quando penetra a fondo nelle nostre membra,
loro malgrado le scuote e le costringe a tremare e a dimenarsi.
Per duplice terrore si trepida dunque nelle città:
di sopra temono le case, di sotto paventano le caverne,
che la natura della terra non le disgreghi d'un tratto,
e squarciata spalanchi ampiamente la sua voragine
e sconvolta voglia riempirla delle sue rovine.
Quindi credano pure, a loro piacimento, che il cielo e la terra
resteranno incorrotti, sotto la garanzia di un'eterna salvezza:
ciò nonostante talora la forza stessa del pericolo presente
insinua da qualche lato anche questo stimolo di timore:
che la terra, all'improvviso sfuggita di sotto i piedi, cada
nel baratro, e l'insieme delle cose la segua, travolto
totalmente, e sopravvenga una confusa rovina del mondo.
Anzitutto si meravigliano che la natura non renda
più grande il mare, quando vi defluiscono tante acque,
quando vi si versano da ogni parte tutti i fiumi.
Aggiungi le vaganti piogge e le tempeste volanti,
che aspergono e inondano tutti i mari e le terre;
aggiungi le sorgenti sue proprie; eppure, rispetto all'intera massa
del mare, tutto sarà un aumento appena pari a un'unica goccia;
sì che non fa meraviglia se il mare, grande com'è, non cresce.
Inoltre, gran parte ne toglie il sole col suo ardore.
E infatti vediamo che coi suoi raggi ardenti il sole
asciuga vesti imbevute di umidità;
ma di mari ne vediamo molti e che si stendono per ampi tratti.
Quindi, benché da ogni singolo luogo il sole sottragga
alla distesa del mare una piccola parte d'acqua,
tuttavia in così grande spazio ne prenderà molta alle onde.
Per altro, anche i venti possono togliere gran parte d'acqua
spazzando le distese dei mari, poiché per effetto dei venti
molto spesso vediamo in una sola notte le strade
asciugarsi e il molle fango rappigliarsi in croste.
Inoltre ho insegnato che anche le nuvole tolgono molta
acqua raccogliendola dalla grande distesa del mare,
e la spargono dappertutto sull'intero orbe terrestre,
quando piove sulle terre e i venti trasportano le nuvole.
Infine, poiché la terra ha corpo poroso
ed è congiunta col mare, di cui cinge da ogni lato le rive,
l'acqua, come defluisce nel mare dalla terra, così deve
diffondersi nella terra dalla distesa salmastra;
vien filtrata infatti la salsedine, e l'elemento liquido
rifluisce indietro e confluisce tutto alla sorgente dei fiumi,
e di lì ritorna sulle terre con dolce corrente,
ove la via una volta aperta fa scender le onde con liquido piede.
[continua: Libro VI,2] |
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