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Pubblicata il: settembre 18, 2013 | Da: Redazione
Categoria: Racconti inediti e/o celebri | Totali visite: 1261 | Valorazione:

Occhio al medio ambiente | Invia per per e-mail

  
Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
Riccardo Remis
L'ACQUA BUIA


Alzai lo sguardo oltre il parapetto della terrazza e fissai le basse montagne che chiudevano l'orizzonte a nord della città. Il fumo dell'incendio saliva in dense volute offuscando il cielo sereno; di tanto in tanto quasi mi pareva di avvertirne l'odore acre, sospinto com'era sino alle mie narici dalla brezza mattutina. Ad intervalli regolari un aereo antincendio compariva da dietro le cime brulle, scaricava cascate d'acqua sulle fiamme vive e tornava a nascondersi dietro alla cime, lasciando sotto si se un cimitero di tronchi anneriti e fumanti. L'albergo s'era ormai svuotato; soltanto il gestore s'era attardato insieme a me al tavolino apparecchiato per la colazione. - Sono le nove - disse guardando l'orologio - e la terra continua a bruciare -. Notai che aveva la pelle quasi bianca. Quel suo lavoro praticamente continuo gli impediva persino di godersi un po' di spiaggia. - Fortuna che il mare non ce lo possono bruciare - aggiunse sorridendo, come a voler smorzare la tensione che la vista di quel triste spettacolo ci incuteva. Versò nei due bicchieri sul vassoio. - Beva, beva pure. Un po' d'aranciata così dopo colazione leva l'amaro del caffè. Ma lei, anche oggi rimane qui? Niente tuffi ? Tutti nell'albergo se n'erano andati: coppie innamorate e silenziose, genitori con borse di paglia, ombrelloni e sdraio pieghevoli, bambini festanti e chiassosi, eccitati dall'idea del bagno mattutino. - No - risposi - oggi vorrei pensare un po' agli affari. E poi le spiagge non sono già troppo affollate, di questi tempi? - Cosa vuole - disse il gestore con voce sconsolata - soltanto per qualche giorno all'anno; altrimenti qui - e fece un gesto vago, ad indicare la città - saremmo tutti a mendicare. Quel poco di spiaggia, qualche muro a secco sbriciolato dal tempo, di cos'altro è fatta questa città? Lei per caso è mai stato qui d'autunno o d'inverno? Un silenzio, una malinconia che non le dico. Il litorale deserto, le saracinesche abbassate, i palchetti smantellati. Si vive soltanto nell'attesa della buona stagione e dei prossimi arrivi. Sorrisi, con un cenno di comprensione. Sollevai il bicchiere offertomi, come a studiarne il contenuto. - Il vero spirito mediterraneo - dissi con enfasi declamatoria - Contemplare lo scorrere del tempo, attendendo che ci porti qualcosa di buono, senza strafare. Ma sa quello che le dico? Le buone stagioni bisogna sapersele anche un po' meritare: attendere che le cose accadano è per taluni una vocazione, per altri una condanna. Mi godetti le ultime sorsate d'aranciata facendo tintinnare a lungo i cubetti di ghiaccio. Il sole si stava facendo feroce ed il caldo insopportabile. Fra i rampicanti che dall'esiguo giardino sottostante salivano fino ad affacciarsi sulla terrazza riprendeva il vivace ronzare degli insetti. Salutai il mio compagno e tornai nella mia stanza, riassettata dopo il giro mattutino delle inservienti. Trovai ogni cosa al suo posto, gli asciugamani asciutti e puliti, ed un mazzo di fiori odorosi in un vaso sopra la scrivania. Avviai il mio portatile, e nell'attesa che lo schermo si popolasse elle sue icone diedi uno sguardo più attento alle pareti tappezzate da carta da parati vecchio stile, al mobilio solido e spartano. Forse non molto era cambiato da vent'anni a questa parte. Distrattamente, quasi con indifferenza, presi a scorrere pagine e pagine di tabelle, elenchi di titoli e rispettive quotazioni, alla ricerca delle informazioni giuste. Le trovai, constatando che gli affari andavano bene - non c'era che dire. Già pensavo a come avrei investito quei nuovi guadagni, in quali nuove imprese li avrei riversati. Era per me più divertimento che lavoro, come una partita a monopoli o un gioco di ruolo. Un amico - mi accorsi - mi aveva inviato una e - mail, chiedendomi dove precisamente stessi trascorrendo le vacanze. Stetti un attimo a pensare . Cosa potevo rispondergli? Di trovarmi in una città della costa ligure, in un alberghetto di poche pretese? Come spiegargli perché ero lì e non altrove, non in qualche lussuoso residence della costa azzurra o della Sardegna, oppure ancora su qualche isola tropicale ? La verità era che quella città, quelle stanze, quel mare, erano luogo di ricordi e sensazioni rimasti vividi nonostante molte cose della mia infanzia, e di tutto il mio passato, si fossero ormai smarrite nell'alone evanescente del tempo andato. In quell'albergo io e la mia famiglia d'origine eravamo soliti trascorrere le vacanze, non più un paio di settimane a luglio o ad agosto. Nonostante ci trovassimo a meno di centocinquanta chilometri da casa, quelli erano per me giorni unici, memorabili, come spesi in un luogo esotico e misterioso. Spensi il computer, poggiandomi allo schienale della sedia. Intrecciai le mani dietro al capo e provai a chiudere gli occhi. D'improvviso, misteriosamente, fui invaso dal ricordo di quell'eccitazione che precedeva la partenza, di quella soddisfazione nel scegliere ciò che di mio avrei posto tra i bagagli: i fumetti preferiti e le matite colorate per le giornate di brutto tempo, la reticella da pesca e il secchiello di plastica per quelle di sole; e la meraviglia del viaggiare, il passare dalla pianura alla collina, dalla collina alla montagna e infine dalla montagna al mare. Dopo aver transitato per stretti tornanti fra paesini di pietra e terreni a pascolo, la nostra auto rossa sbucava all'ingresso di una lunga strada fiancheggiata da olivi nodosi e orti assolati. Quando il sole era già alto nel cielo, e la stanchezza del viaggio - la faticosa discesa dalle montagne - cominciavano a farsi sentire, compariva dinanzi ai miei occhi una striscia sottile al confine del cielo, poi una distesa ampia e lucente, fantastica : finalmente, il mare. Il tempo di recarci all'albergo - proprio quest'albergo - e di sistemare i bagagli, l'attesa impaziente e poi la spiaggia, le corse, i giochi. Amavo scendere lungo la scogliera - pericolosamente viscida - per bagnarmi nell'acqua più bassa e calma, fra le rocce nere e lucide, lontano dagli altri turisti. Sapevo che quelli erano i posti dove più facilmente si potevano pescare piccoli pesci dalle squame screziate, che avrei reso inquilini d'un acquario realizzato con un contenitore di plastica trasparente, qualche sasso e alghe verdi raccolte sul bagnasciuga. Ecco, era per tutto questo - per questi ricordi - che ero tornato lì dove ero già stato in altro tempo e con altri occhi, con altri pensieri. Ma c'era anche qualcos'altro, un'emozione che non riuscivo più ad evocare, e sentivo incerta e tremolante al fondo dell'anima, indistinta. Quella sera uscii dall'albergo alle sette e mi diressi verso la città vecchia. Camminai per vie antiche, di giorno occupate da mercati rionali pervasi dall'aroma delle spezie e del pesce, di sera popolate da antiquari che esponevano vecchie foto, conchiglie, ornamenti e coralli. Passeggiai a lungo, osservando in volto la gente, gli uomini, le donne, i bambini, cercando sui loro volti chissà che cosa. M'infilai poi in un piccola trattoria senza troppe pretese, un edificio antico, spesse mura forate da strette finestrelle con archi a sesto acuto. Ai tavoli, inaspettatamente, c'era ancora posto. Lo scabro ammattonato, i pittoreschi lampadari, le ancore rugginose affisse alle ruvide pareti, il tutto contribuiva a creare un'atmosfera strana, a mezza via fra il suggestivo e il banale. Mi sedetti in un luogo tranquillo, attendendo di poter ordinare. Mi venne incontro un giovane cameriere, probabilmente assunto soltanto come stagionale A forza di "Può ripetere ?", "Allora, ricapitoliamo ..." riuscì infine nell'impresa. Mentre aspettavo notai ad una parete un quadro a pastelli, dalla cornice barocca. Rimasi per un attimo sospeso, poi mi alzai per raggiungere il bancone. - Posso servirla ? - chiese pronto il cameriere, nella sua immacolata camicia bianca. - No, veramente .. Volevo solo togliermi una curiosità. Quella laggiù - e indicai il quadro - è l'isola di G.? Mi sorrise. Non sembrava sorpreso dalla mia domanda. - Già, proprio così, anche se non le assomiglia molto. La disegnatrice - ma non lo dica a nessuno - è la figlia del padrone del locale. Sorrise, soddisfatto della confidenza. - Ci fanno ancora le visite turistiche? - Certo che sì, un bel guadagno per il traghetto. Ma se desidera andarci... è sempre come al solito, non è possibile attraccare. Proprietà privata. Si interruppe per un attimo, riponendo in un grosso armadio una torretta di tovaglioli. Riprese: - Comunque, se proprio vuole può comperarsi l'isola intera. E' in vendita . - Come, in vendita? - Proprio così. Ma ci pensa che problema, gli approvvigionamenti, l'acqua potabile. E quando il mare è mosso? Meglio procurasi un bel mazzo di carte o un gioco di società nell'attesa di poter di nuovo toccare il continente... Tornai al tavolo. Ricordavo bene quell'isola, poco distante dalla costa. Mi tornò alla mente la figura di un marinaio dalla pelle bronzea che s'improvvisava cicerone gesticolando da prua del traghetto. Parlava di un lungo tunnel che si avvolgeva a spirale nell'interno dell'isola, salendo dal mare fino alla cima del promontorio, dove si trovava l'unica abitazione esistente. Potevo ancora figurarmi l'imboccatura oscura della galleria, al contrasto del sole accecante del mattino, e le onde che si frangevano sulle prime, viscide pareti interne. - A lei il suo pesce, signore. Il cameriere s'era avvicinato al tavolo senza che me ne accorgessi. Mentre posava il vassoio non dissi altro che un "Si, grazie" . E ancora i miei pensieri vagavano lontano. Cominciai a consumare distrattamente il mio pasto, senza quasi accorgermi del sapore di ciò che avevo sotto i denti. La gente seduta agli altri tavoli, le parole, le risate che facevano vibrare quell'aria sapida di aromi rimanevano al di là della mia coscienza. Ripensavo alla sagoma verdeggiante, aguzza, di quell'isola coperta di boschi, e alle profondità buie sotto la superficie appena increspata delle sue acque sotterranee. Quando uscii era notte alta, ormai, e le strade della città quasi deserte. I muri delle case, le volte degli androni, i mattoni a vista dei poggioli restituivano tenui vestigia della vampa diurna. Me ne andavo solo, ancora pensoso, per quelle vie strette, puntando al lungomare. Raggiunsi la meta e mi misi sull'ammattonato che correva tra le aiole a ridosso della spiaggia vuota e silenziosa. Una brezza tenera e leggera si era levata da sud, dal cuore del Mediterraneo, o forse addirittura dall'Africa; attraversava il mare increspando le onde, giungeva a sfiorarmi il volto, a soffiarmi tra i capelli. Istintivamente guardai a nord: le montagne non bruciavano più, i bagliori del fuoco s'erano spenti, le nubi di fumo attossicante dissolte. Continuavo a camminare, sempre più lentamente. Passo dopo passo la striscia di sabbia fra me e il mare s'assottigliava, mentre la costa si faceva aspra e scogliosa elevandosi sulla distesa d'acqua. Poi, dove l'ammattonato s'interrompeva, un sentiero appena visibile s'addentrava fra gli sterpi. Lo imboccai, e percorrendolo giunsi in cima al promontorio, lontano dalla strada. Mi arrestai, ritto, ad un passo dalla strapiombo. Guardai al cielo: non si vedevano stelle, affogate com'erano nella luce tremolante della luna; ma, delle stelle più fitti, sul mare sfavillavano mille fari piccoli e grandi, di barche e pescherecci. Volsi poi gli occhi in basso, scrutando nel buio che aleggiava fra gli scogli lambiti da un'acqua di cui potevo soltanto udire lo sciacquio. E fu proprio in quell'istante, in quel luogo, sotto quella luna , che - come tanti anni prima - provai di nuovo quell'emozione sino ad allora soltanto presagita, celata nei ricordi d'infanzia: ed era non gioco, non gioia, ma brivido oscuro al pensiero delle acque buie e profonde sotto di me, quelle acque di giorno amiche e sicure, di notte insondabili e misteriose.

E-MAIL: riccardoremis@hotmail.com


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