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Pubblicata il: agosto 07, 2013 | Da: Redazione
Categoria: Poesia italiana | Totali visite: 1545 | Valorazione

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Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
Gioacchino Rossini - La Petite Messe Solennelle

di Stelvio Mestrovich


A proposito di tale opera e in pieno conflitto sacro-profano, l’arguto Maestro pesarese scrisse persino una lettera al “buon Dio”. In francese, naturalmente.

“Buon Dio, ecco terminata questa povera piccola Messa. Io sono nato per l’opera buffa, Tu lo sai bene ! Poca scienza, poco cuore, ecco fatto! Sii dunque benedetto e concedimi il Paradiso …”

Quale commiato!
Una sottile preghiera, Rossini poteva scherzare anche con il Padreterno, per svelare tutta la sua fragilità, per palesare i suoi difetti e i suoi pregi, per richiamare l’attenzione dei posteri su un giudizio che non fosse ‘spietato’, per donare a Dio la sua arte fatta umiltà.

Passy 1863:
“La Piccola Messa Solenne, a 4 parti con accompagnamento di 2 pianoforti e armonium, è stata composta durante la mia villeggiatura a Passy. Dodici cantanti di tre sessi (de trois sexes), maschi, femmine e castrati saranno sufficienti per la sua esecuzione: otto per il Coro, quattro ‘a solo’, totale dodici cherubini. Buon Dio, perdonami il raffronto seguente. Pure dodici sono gli Apostoli e, rassicuraTi, affermo che nella mia cena non ci sarà Giuda e che i cherubini canteranno nel giusto e ‘con amore’ (in italiano) le Tue lodi e che questa piccola composizione sarà l’ultimo peccato mortale della mia vecchiaia. “

Questa è la scritta esplicativa che reca lo spartito della Messa.

Alfredo Bonaccorsi sottolinea che questa composizione sacra “ denota una sensibilità timbrica eccezionale, un gusto nuovo e moderno per la sonorità. Vissuto umanamente e calato negli usuali schemi melodrammatici, il sentimento è intenso e nuovo. Un modo di congedarsi dall’arte e dalla vita, disincantato e forse apparentemente un poco scettico, quale a lui conveniva, accompagnato dalla serena consapevolezza di non avere lavorato, in fondo, né male né invano.”

Rossini è figura complessa, perché dannatamente semplice. Piaceva anche a Wagner che definì il “Mosé” un grande affresco. Eppure compose anche un Duetto buffo di due gatti per pianoforte, tanto per citarne uno, con tanti ‘miau’ fino all’ultima battuta, tutto per compiacere una donna, oppure il Toast pour le nouvel an.

Stravaganze. Sì, ma un genio è e deve essere stravagante, perché stravaganza è sinonimo di genio. Deve saltare dalla “Chanson du Bébé” al “Guglielmo Tell.” Con la facilità, appunto, di uno stravagante genio o di un genio stravagante.

Gioacchino Rossini.
Oggi lo si ricorda per le opere immortali e non è poca cosa, dati i tempi che corrono. Ma lo si emargina ad esse. Chi non sa o non conosce almeno un’aria de “Il barbiere di Siviglia”? Ma delle composizioni strumentali, di quelle per pianoforte, degli inni e cori, delle cantate, della musica chiesastica? Qualcuno alza la mano? Ben pochi. Gli addetti ai lavori. Per i più, Rossini è il ‘Barbiere’ ‘la Cenerentola’ ‘la Gazza ladra’ ‘il Signor Bruschino’ ‘La Scala di seta’ ‘il Guglielmo Tell’ (tralascio per ovvi motivi opere quali “Le comte Ory” “Adina ovvero il Califfo di Bagdad” “Zelmira” “Matilde di Shabran ossia Bellezza e cuor di ferro” “Edoardo e Cristina” e altre quasi del tutto dimenticate) e basta. Ritiratosi a Passy, ha smesso di comporre. Ma quando mai ? Opere, ma non c’è soltanto la lirica.

Il suo ‘riposo’ è stato miracoloso per la Musica. A parte che non lo definirei tale, tutt’altro, fu un segmento di tempo ‘di malattia e di sofferenza’, altroché, ed è proprio in quel periodo che il Maestro ha maturato composizioni immortali che hanno deliziato i salotti d’Europa. Proprio nell’identificare Rossini unicamente ‘uomo di teatro’ sta il grave errore.

“Non voglio lasciar pubblicare nulla, finché vivo; se quando, dopo la mia morte, si conosceranno i miei ultimi lavori per canto e pianoforte, si vedrà che qualche cosa vi era ancora nella testa del vecchio Rossini.”

Lo ha detto lui all’amico Michotte. Vedi “Cronaca Musicale”, Pesaro 1912, fascicolo XII, pagina 246.

Gli inediti di Pesaro affermano e confermano la genialità rossiniana del periodo del grande silenzio. Fra gli ‘inediti’ la scala cinese, che si trova nell’ Amour à Pekin per pianoforte e soprano, una trovata davvero originale, che consta di una scala pentatonica, dove manca una nota o, se si vuole, si ha un salto di terza. Ma per gli occhi non per l’orecchio. Perciò ne consegue una curiosa scala esatonale. Il salotto di Rossini fu uno dei più brillanti d’Europa. Vi partecipavano pianisti di talento come Charles Camille Saint-Saens e Louis Diémer. Così Hanslick descrisse una di quelle serate musicale per la Neue Freie Presse di Vienna:

“Il caldo era indescrivibile e la ressa tale che era sempre necessario fare gli sforzi più disperati quando una bella vocalista (specialmente del peso di una madame Sax) cercava di farsi strada dal suo posto al piano. Una folla di signore, scintillanti di gioielli, occupava la sala da musica; gli uomini stavano in piedi, così stretti l’uno all’altro da non potersi muovere, accanto alle porte aperte. Ogni tanto un servitore con dei rinfreschi si insinuava faticosamente in mezzo alla folla boccheggiante, ma è strano il fatto che solo pochissime persone (per la maggior parte straniere) prendano qualcosa che valga la pena di menzionare. La padrona di casa, si dice, non lo apprezzerebbe.” (Da “I grandi musicisti” di Harold C. Schonberg.)

Rossini morì il 13 novembre del 1868. Fu la morte di un Re.

La Petite Messe Solennelle e lo Stabat Mater ebbero armonie ben più avanguardiste di quelle che si trovano nelle opere. Una meravigliosa fusione di vecchio e di nuovo. Con quest’ultimo che si fa avanti. E si impone. Oggi il grande Pesarese non sarebbe affatto contento di sentire le attuali voci troppo tese, urlate, a tutto vento che passano, con l’aggravante di venire pure accettate, come “stile rossiniano”.

Stelvio Mestrovich
Lucca, Agosto 2004


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