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Pubblicata il: giugno 19, 2013 | Da: Redazione
Categoria: Poesie del 700 | Totali visite: 7335 | Valorazione:

Occhio al medio ambiente | Invia per per e-mail

  
Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
Placa gli sdegni tuoi;
perdono, amata Nice;
l'error d'un infelice
è degno di pietà.
È ver, de' lacci suoi
vantai che l'alma è sciolta;
ma fu l'estrema volta
ch'io vanti libertà.
È ver, l'antico ardore
celar pretesi a segno
che mascherai lo sdegno,
per non scoprir l'amor:
ma cangi o no colore,
se nominar t'ascolto
ognun mi legge in volto
come si sta nel cor.
Pur desto ognor ti miro,
non che ne' sogni miei;
che ovunque tu non sei
ti pinge il mio pensier.
Tu, se con te m'aggiro,
tu, se ti lascio mai,
tu delirar mi fai
di pena o di piacer.
Di te s'io non ragiono,
infastidir mi sento,
di nulla mi rammento,
tutto mi fa sdegnar.
A nominarti io sono
sì avvezzo a chi m'appresso
che al mio rivale istesso
soglio di te parlar.
Da un sol tuo sguardo altero,
da un sol tuo detto umano
io mi difendo in vano,
sia sprezzo o sia favor.
Fuor che il tuo dolce impero,
altro destin non hanno,
che secondar non sanno
i moti del mio cor.
Ogni piacer mi spiace
se grato a te non sono;
ciò, che non è tuo dono,
contento mio non è.
Tutto con te mi piace,
sia colle, o selva, o prato;
tutto è soggiorno ingrato
lungi, ben mio, da te.
Or parlerò sincero:
non sol mi sembri bella,
non sol mi sembri quella,
che paragon non ha;
ma spesso, ingiusto al vero,
condanno ogni altro aspetto;
tutto mi par difetto,
fuor che la tua beltà.
Lo stral già non spezzai;
che in van per mio rossore
trarlo tentai dal core,
e ne credei morir.
Ah, per uscir di guai,
più me ne vidi oppresso;
ah di tentar l'istesso
più non potrei soffrir.
Nel visco, in cui s'avvenne
quell'augellin talora,
scuote le penne ancora
cercando libertà;
ma in agitar le penne
gl'impacci suoi rinnova;
più di fuggir fa prova,
più prigionier si fa.
No, ch'io non bramo estinto
il caro incendio antico;
quanto più spesso il dico,
meno bramar lo so.
Sai che un loquace istinto
gli amanti ai detti sprona;
ma, fin che si ragiona,
la fiamma non passò.
Biasma nel rio cimento
di Marte ognor gli sdegni,
e ognor di Marte ai segni
torna il guerrier così.
Torna così contento
schiavo, che uscì di pena,
per uso alla catena,
che detestava un dì.
Parlo, ma ognor parlando
di te parlar procuro;
ma nuovo amor non curo,
non so cambiar di fé:
parlo, ma poi dimando
pietà dei detti miei;
parlo, ma sol tu sei
l'arbitra ognor di me.
Un cor non incostante,
un reo così sincero
ah l'amor tuo primiero
ritorni a consolar.
Nel suo pentito amante
almen la bella Nice
un'alma ingannatrice
sa che non può trovar.
Se mi dai di pace un pegno,
se mi rendi, o Nice, il cor,
quanto già cantai di sdegno,
ricantar vogl'io d'amor.

Scritta in Vienna l'anno 1746.


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