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Pubblicata il: giugno 20, 2013 | Da: Redazione
Categoria: Poesie del 800 | Totali visite: 1981 | Valorazione

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Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
III

Poi disse: "Pensa al giorno, così lento,
quand'eri messo a lavorare il ferro.
Movevi tu da striduli otri il vento.
E quattro fabbri mezzo neri e nudi
traeano il masso dal carbon di cerro
e lo battean sull'echeggiante incudine.
Ero con te. Battevo lieve l'ale
assecondando quell'ansar concorde
e quello squillo de' martelli uguale.
Toccavo un poco l'arpa tra il lavoro
sonante, e il suono tu delle mie corde
udivi sotto il muto gesto loro.
Io nel gran bosco ch'urla al nembo ignoto,
fo che tu senta il canto d'un uccello
che gonfia il collo ed apre il becco a vuoto.
Io fo che in mezzo ad un crosciar di frane
e di valanghe, là, d'un paesello
soavi e piane oda le tre campane.
Io per te colgo il suono d'ogni cosa.
Su tutte io picchio le mie tenui dita,
stelle del cielo o petali di rosa.
Di tutte io sento il dolce flutto occulto,
il cadenzato palpito di vita,
la gioia e il pianto, il riso ed il singulto.
E tu mi scacci! E chiudi me che volo!
che senza me, per te sarebbe il mondo
tutto silenzio! un grande fragor solo!
Ma, non so come, tutto quel fragore
interminabile, io te lo nascondo
dietro il ronzio d'un'ape attorno un fiore".
Parlava; e l'altro udiva in sogno; anch'esso,
il clavicembalo; e fremea sommesso.


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