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Pubblicata il: luglio 02, 2013 |
Da: Redazione
Categoria: Poesie tedesche | Totali visite: 1739 | Valorazione
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Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
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Ella giacea. Aveano i servi stretto
le sue braccia di bimba attorno al Veglio,
che avvizzendo venia. Su Lui restava,
per lunghe ore, così: placidamente;
sol di quegli anni molti, un po' tremando.
Tratto tratto, la faccia ella gittava
nella gran barba, allo squittir d'un gufo.
E tutta discendea la notte immensa
a fasciarla di sé: trepida, anela.
Ogni astro, allora, ripeteva in cielo
quel suo tremito stesso; e rifrugava
la chiusa stanza un errabondo olezzo.
Alla finestra avean le tende grevi
un palpito d'accenno e di richiamo,
cui lenta ella seguia con lento sguardo.
Ma, rimanendo al fosco Veglio avvinta
- e dalla Notte delle notti, immune -
su quel regale raggelarsi, inerte,
stesa giacea. Virginalmente lieve:
spirito senza corpo, anima esangue. |
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Una pubblicazione proposta fra le tante presenti nel sito |
Redimita di fronde agropungenti -
ahi! non d'alloro - la mia Musa canta.
Alti cespi d'ortica alzano intorno
alle mie carte un cerchio folgorante,
mensa ed albergo ai numerosi alunni.
Dalle schiuse finestre entra l'Estate;
brilla sui campi, sul tripudio verde,
puro l'abisso cerulo del cielo. |
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