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Pubblicata il: settembre 24, 2013 |
Da: Redazione
Categoria: Racconti inediti e/o celebri | Totali visite: 1458 | Valorazione
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Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
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Alfredo Bianchi
I CARBONAI
Storia di fuorusciti ed emigranti di fine '800
La mattina si annunciava splendida; la brezza pungeva come un mucchio di aghi sulla pelle nera di carbone e il sole pezzava gli ultimi metri del "maquis" da tagliare.
D'ottobre doveva essere tutto finito.
- Si torna a Borgo, se Dio vuole, a godere un po' di caldo con mondine e vino!
- Per noi invece ricomincia la cerca. Noi siamo come i frati zuccotti, bisaccia alle spalle e zoccoli in mano...
- Tornerete anche voi, ne sono certo. Ci sarà pure un perdono generale per una nascita o per una morte nelle alte sfere...
- Speriamo
- Bisogna avere fede! Io pregherò per voialtri che non credete in nulla!
- Crediamo nel socialismo, nel popolo, nella libertà... disse Carlino.
- Fai meno vento - rispose il Tosi - Codeste son cose che non valgono, non sono di spirito...
Presero per un'erta scoscesa. Non parlavano più, tutto il fiato serviva per arrampicarsi. Dal culmine videro le carbonaie. Mandavano rivoli di fumo azzurro e odoravano di legno cotto.
- Dall'odore si direbbe che va bene - osservò il Tosi - Ma quegli alberi là perché li hai lasciati in piedi?
- Non pensavo che fossero della conta - rispose Carlino.
- Tutto quello che è albero qui è da abbattere. Abbiamo il permesso. Tagliamoli ora; saranno soltanto dieci o dodici. Forza, ragazzi che prima di sera è tutto finito!
- Facciamo un'altra carbonaia?
- È tardi, ma proviamo, si guadagna qualcosa di più. Magari si resta noi soli e le donne le mandiamo a Bastia. Animo, ragazzi!
Si levarono le giubbe e dettero di piglio alle scuri.
Per la macchia rintronavano i colpi; scrosci secchi, frettolosi, allegri, punteggiavano il silenzio quando l'albero crollava sotto il peso della chioma.
Non si sa come successe ma forse fu proprio la fretta.
Ad un tratto il Tosi si trovò sotto l'albero che Carlino stava abbattendo. Tosi sentì lo schianto della base e la frustata del vento e d'istinto si portò dall'altra parte, ma un grosso ramo lo prese di striscio e lo fece cadere, il piede destro restò sotto il tronco.
- Buoni, ragazzi, non è nulla! Levatemi di sopra questo dannato tronco.
Carlino e il Meo tiravano con tutte le forze ma lo smossero appena. Era uno sfacelo. Il piede del Tosi era una informe poltiglia di ossa e di carne triturata. Il Meo non poté trattenere un moccolo.
- Dimmi com'è che non mi posso ancora muovere.
- È malamente - rispose Carlino - Non mi pare che si possa salvare...
- Non mi fa male, per ora, ma se il piede è spappolato, bisogna tagliarlo. Non c'è tempo da perdere...
Si tirò su con grande sforzo, mosse l'altra gamba, ma ricadde subito, stremato.
- Credo che stia per svenire. Perde sangue...
- Andiamo a chiamare gli altri - suggerì il Meo.
- Non c'è tempo - disse il Tosi con voce flebile - Datemi un po' di cognac: è nello zaino.
Bevve tre o quattro sorsate. Si riprese, disse:
- Non potete portarmi a casa. Morirei dissanguato. Tagliate il piede, legate le vene grosse con fili di spago, legate la pelle sul troncone che non versi più sangue, soltanto allora portatemi giù!
- Non abbiamo il coraggio
- Allora, grazie, amici, grazie... Mi avete condannato a morte - e chiuse gli occhi come se avesse dovuto morire alla svelta. Allora Carlino disse:
- Tosi, non scherzi mica? Se è necessario io ci provo, ma sei sicuro che non ci sia altro rimedio?
- Non c'è
Il Meo prese un ceppo e, piano piano, cercò di sollevare il piede, ma il sangue scorreva a fiotti. Si vedeva la vena aperta sull'osso troncato e il piede giaceva di traverso trattenuto da brandelli di muscolo e di pelle.
- Tosi, noi lo facciamo perché ce lo chiedi - diceva il Meo con la voce rotta, ma Carlino aveva già preso la scure e cercava il punto per vibrare il colpo. Era pallido come un morto. Il Tosi taceva, respirava piano e stava diventando grigio sotto il nero del carbone che gli insudiciava il viso.
Carlino alzò l'accetta e gli venne fatto di chiudere gli occhi, invece li spalancò:
- Madonna, fai che colpisca bene e che lui non soffra troppo.
Buttò giù il colpo.
Il ciocco che ottone aveva messo sotto il piede fece da incudine. Era fatta. Il Tosi non si mosse, ottone strinse l'orribile ferita con una fascia di camicia, poi tuffò lo spago nel cognac. Carlino si dette da fare intorno ai vasi più grossi: legava e stringeva, le mani piene di sangue.
Tremava. I nodi si intrecciavano, lo spago si aggrovigliava. Orribili bestemmie pensate non avevano la forza di uscire.
- Lascia che faccia io - disse il Meo - Hai fatto anche troppo!
Ora il sangue sgorgava con minore impeto e fu possibile passare sulla ferita un tampone fatto con pezzi di camicia.
- Se non muore dissanguato, muore d'infezione - disse il Meo in un soffio.
- Non deve morire. È un brav'uomo!
Sopra la fasciatura misero foglie fresche ed erbe come sulle ricotte.
- Abbiamo fatto il possibile, affidiamolo a Dio! Lui ci crede e direbbe: "Se puoi, Padre, salvami per le mie creature!"
Dissero questo mentre si davano da fare per predisporre il trasporto. In pochi minuti tagliarono rami lunghi e flessibili e fecero una barella.
Tosi ansimava, ma sentivano il suo respiro affannoso come un sollievo. Una volta che capitò di non sentirlo perché lo sovrastava il rumore dei loro passi, si fermarono, tastarono la fronte. Scottava.
- Il vecchio Tosi combatte!
- Dai, vecchio, vinci! - disse Carlino.
(dal cap. XV del romanzo inedito " Rapsodia: il fiore rosso") |
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