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Pubblicata il: giugno 14, 2013 | Da: Redazione
Categoria: Racconti inediti e/o celebri | Totali visite: 1515 | Valorazione

Occhio al medio ambiente | Invia per per e-mail

  
Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
Ma non fidatevi delle nuvolette perché quando a nuvoletta si
aggiunge nuvola e nel cielo si addensano minacciose le une sulle
altre allora è tempo di fare chiarezza prima che giunga
l'oscurità e il tuono soffochi ogni altro rumore.

Quando non si conosce non si può soffrire per mancanza, chi non
è mai nato non può rimpiangere la vita, chi non ha mai amato
non può rimpiangere l'amore. Ma si può nascere, crescere e
passare gli anni facendo a nascondino con la vita restandone
sempre un passo indietro. Si possono indossare corazze e maglie
intessute di acciaio per non essere sfiorati o ci si può
strappare la pelle di dosso per un refolo di primavera.

C'è chi passa la vita nudo l'inverno e nudo l'estate soffrendo e
godendo, piangendo e ridendo, trovando e perdendo l'amore così
come il mattino si perde contro la sera e la vita corre
furiosamente verso la fine.

E ci sono altri che giocano con le bambole tutte la vita e alle
bambole fanno fare pupazzi che ameranno altre bambole e altri
pupazzi in una sequenza di cartoni animati.

Tra i primi c'è chi ama la poesia, tra i secondi c'è chi crede
che sia solo un fastidioso ricordo di scuola.

Tra i primi e i secondi c'è chi la poesia la odia per opposti
motivi ma, nonostante tutto, questo è meglio dell'indifferenza
se non addirittura dell'amore che ripaga con tenerezza, passione
e oscura voluttà.

Forse non è la poesia ad essere morta, ma sono morti tutti
quelli che nudi mischiavano il loro sangue con quello dei giorni
e delle notti che ancora trafiggono la terra con le loro assurde
storie di fame, di paura e di sterminio.

Certi giorni sulle mie spalle gravano mille anni, sofferenze e
gemiti di stanchezza stratificano il mio pensiero divenuto così
pesante da non riuscire a sollevarsi di un solo millimetro dalla
melma su cui poggiano i miei piedi piagati dal lungo vagabondare.
Il mio corpo di larva, semiaffondato nella terra, giace a miglia
di anni da casa seppure ne abbia una, seppure mai ne abbia avuta
una.

Ma non è sempre così, ci sono momenti anche peggiori in cui
sono a casa circondato dalle mie cose, dal tepore domestico e
questo è come il deserto dove molte volte sono morto di
solitudine, di sete, di desiderio, di paura, di caldo e di
freddo, abbracciando bambole modellate nella sabbia, affondando
le mani alla ricerca della terra, senza palpebre a difendere
occhi morsicati dagli scorpioni e nemmeno una stilla di rugiada
sulle labbra a lenire l'arsura che divora i polmoni.

Allora il pensiero, chiuso in un guscio di noce in balia delle
onde di in un mare in tempesta, non riesce ad affondare né a
fermarsi un attimo a riflettere; condannato ad un perpetuo caos,
non trova modo di esprimere la sua sopravvenuta incapacità alla
vita. Perché lui, in preda alla paralisi, sorride scioccamente
mentre lei dice mi dispiace e si allontana a ritroso nel tempo
con un sorriso di bimba ingorda che cerca un nuovo barattolo di
marmellata da svuotare. Sorrisi diversi, patetici gli uni,
crudeli gli altri.

Mi dispiace tamburella la pioggia sul vetro, Mi
dispiace
borbotta il tuono mentre le prime raffiche della
tempesta piegano la vela fino a sfiorare le onde che intanto
montano in viola e nero, Mi dispiace sibila il
carnefice abbattendo l'affilata scure sull'esile collo della
speranza, Mi dispiace sussurra il vento che piega i
cipressi, Mi dispiace urla il vento rabbioso che
spezza i cipressi, Mi dispiace, Mi dispiace, Mi dispiace
mentre la paralisi gli strizza i polmoni, il cuore, le viscere
che si annodano come crotali nel nido, Mi dispiace, Mi
dispiace, Mi dispiace
mentre le labbra socchiuse in uno
stupido sorriso sono gelide come marmo, pietrificate nella
memoria del fulgore dell'ultimo bacio cui non ne seguiranno mai
più altri oppure ne seguiranno infiniti altri in un'affannosa,
inutile quanto vana ricerca e sarà peggio che essere divorato
dai cani in un pomeriggio di primavera davanti alla sua casa, con
lei alla finestra e il sole morente nei suoi occhi, mentre sogna
l'amore che i suoi cani divorano appena al di là del limite del
suo orizzonte visivo.

La poesia è fatta di parole come lame affilate di coltelli che
balenano nella notte prima di affondare nella carne, ma la
poesia è morta.


Parole che ardono per un attimo esaurendo inutilmente il loro
significato. Parole sterili come frammenti lavici da cui ogni
vita si tiene lontana. Parole che possono trarre dal buio il
cieco; parole la cui luce, come un faro, guida il marinaio al
porto fuori dalla tempesta; parole buone che danno conforto,
asciugano il pianto, aiutano a vivere, ma la poesia è morta.

La poesia può esprimere con dieci parole quello che nemmeno una
vita e un miliardo di parole riuscirebbero a spiegare, ma
la poesia è morta.


La poesia è un microuniverso in cui, incapsulata, c'è la vita
di una persona che si porge alla tua comprensione, ma la
poesia è morta.


E' una pillola che ha più potere del più potente dei farmaci in
malattie come la tristezza, la malinconia, la disperazione, la
solitudine, ma la poesia è morta.

La poesia nutre lo spirito come nettare per gli dei, ma la
poesia è morta, morta per sempre
.

E con lei anche i poeti.

I poeti sono più che morti perché sono vivi, vivi per sempre,
ristretti in un immenso cimitero di parole morte. Tra dialoghi
amorosi dilaniati, vagano come derelitti in un campo di battaglia
che ha lasciato vivi solo loro; aggirandosi tra cadaveri, cercano
un frammento, un frammento che pulsi di ardente vita tra la
cenere spenta e le smorfie delle parole inutili che fanno
sberleffi agli sconfitti, parole vuote che riempiono la bocca ai
politici, alle eroine dei telefilm che, iniziati con la
televisione, continueranno fino al terzo, quarto, quinto
millennio.

Surrogati di parole come torrenti di vomito inondano i media.
Scritte, urlate o sussurrate sono solo lettere e suoni svuotati
di ogni significato. Dette ed ascoltate in una simulazione di
vita, in un'illusione di solidi sentimenti, di amore per il
prossimo che non riesce a dissimulare vacuità ed egoismo.

Allora?

Allora bisognerebbe scoprire chi, o casa ha ucciso la poesia, ma
forse la poesia è morta da tempo di morte naturale, di
consunzione, nell'indifferenza non se n'era accorto nessuno e,
nel clamore assordante della quotidianità, nessuno aveva
ascoltato il rantolo, nessuno aveva assistito l'agonia
dell'illustre moribonda e i poeti erano troppo attoniti per alti
lamenti capaci di superare il rumore di fondo dei televisori
accesi e degli strilloni all'angolo delle strade.

Allora che bisogno c'è di poesia?

Allora prendiamo il colore rosso e mettiamolo al buio e lui
scomparirà inghiottito nel nulla, prendiamo il bianco, il verde,
il giallo, la primavera e l'inverno e mettiamo tutto al buio e
tutto sarà nulla. I colori sono perché c'è la luce a dargli
vita, così come le parole non sono senza la poesia che è la
loro anima, ma la poesia è morta, morta per sempre.

Allora la vita diventa illusione, simulacro di se stessa, farsa
grottesca e quando la bocca dice ti amo il cuore di cartapesta
non si ferma nemmeno per un momento ed è come se la bocca avesse
detto fuori piove.

Gli assassini sono tra noi.

Tra noi, uomini di PC, quanti hanno contribuito con la loro
indifferenza ad uccidere la mortale poesia? Quanti tra noi hanno
aperto un libro di poesia dalla maturità? Quanti hanno mai, volontariamente,
aperto un libro di poesia in vita loro.

Ma lo dicevo all'inizio, chi non sa di perdere non perde, come
chi non sa di vivere non vive.

Ora tutti gli indifferenti hanno già smesso di leggere fin dalla
terza riga colti da grande fastidio e malessere e quindi se siete
arrivati fino a questo punto non siete tra gli assassini anche se
vi sentite nel fondo dell'anima un rimescolare di sensi di colpa.

Sebbene la poesia sia definitivamente morta può darsi che un
piccolo frammento ancora esista dentro ognuno di noi. Io so che
è così perché spesso frammenti di versi emergono dalla mia
mente superando il rumore di fondo e, improvvisamente, vengo
attraversato da squarci di poesia come: Meriggiare pallido
e assorto presso un rovente muro d'orto oppure la pietra è una
fronte dove i sogni gemono senz'aver acqua curva né cipressi
ghiacciati. La pietra è una spalla per portare il tempo con
alberi di lacrime e nastri e pianeti
.

A cosa serve l'inutile poesia se non convince Bellimperia a
darsi al mio amore?
farneticava il figlio del Re del
Portogallo seicento anni orsono dibattuto tra tormento d'amore e
assassinio. Quindi la poesia, già nel tardo medioevo, fu utile
strumento nella conquista amorosa di cui si servivano anche gli
assassini oltre che i poeti e i menestrelli.

Ma oggi? Oggi più nessuno si renderebbe ridicolo recitando un
verso poetico nel tentativo di conquistare una ragazza.

Desidero fare uno sforzo finale e cercare se ci sono altri
colpevoli oltre l'indifferenza generale e penso che il PC, così
poco poetico, non sia contro ma anzi, con CD-ROM come la Divina
Commedia, Tutto Fellini, mi fa ben sperare.

Tolto il PC, credo che la scuola sia colpevole perché la poesia
viene presa in ostaggio dagli insegnanti che sulla pelle di
Leopardi, Foscolo, Pindemonte obbligano gli allievi ad esercitare
con i versi la memoria, indifferenti ai contenuti.

Io, che mi sono sempre rifiutato di imparare poesie a memoria e
che per questo sono stato rimandato tutti gli anni a sostenere
gli esami di riparazione, oggi ricordo tante e tante di quelle
poesie che potrei stare un intero pomeriggio a recitarne di tutti
i tempi e autori diversi senza mai ripetermi. Non serve imparare
a memoria serve capire e per questo ci vogliono insegnanti che a
loro volta abbiano capito.

E della TV che ne pensate? in che misura ha contribuito alla fine
della poesia? Forse è proprio lei la maledetta assassina.


Felice Pagnani - L'UOMO E L'INFORMATICA - marzo 1995 - Micro
& Personal Computer



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