|
|
Pubblicata il: giugno 14, 2013 |
Da: Redazione
Categoria: Racconti inediti e/o celebri | Totali visite: 1231 | Valorazione
|
|
|
|
Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
|
|
|
Ci sono delle volte in cui sono così arido e disseccato che
nessuna persona o cosa al mondo potrebbe estorcermi una sola
parola, che dico, una sillaba, un lamento talmente fievole da
essere inavvertibile tra i sussurri della notte. Ci sono invece
delle volte che, seppure fossi l'unico uomo nel deserto, oppure
confuso tra tanti nella affollata navata di una chiesa durante la
funzione domenicale, non potrei frenare la cataratta delle parole
che, sfuggendo dalla bocca come un vomito continuo irrefrenabile,
monocorde, ripercorre a ritroso i sentieri della mia vita.
Quando andare avanti o tornare indietro, chinarsi o drizzarsi,
vivere o morire, sono la stessa cosa io mi siedo davanti al mio
PC. Un tempo avrei cercato un amico, avrei diviso l'affanno con
la donna con cui dividevo il letto, oggi mi siedo davanti al mio
PC e premo il tasto "ON" e attendo di vedermi riflesso
nello schermo e di sentire la mia stessa voce dire: Si Felice,
sono pronto ai tuoi comandi.
Siamo io e lui. Ma lui non è lui perché lui ora è diventato un
altro implacabile me stesso perché ha gli stessi ricordi che ho
io, perché gli ho detto tutto della mia vita a cominciare da
quella volta in collegio quando lanciai il mio cappello in aria
davanti a Liliana, la bambina di cui tutta la componente maschile
e non della IV "E" era innamorata, il cappello dopo
aver descritto un'elegante parabola in aria, al momento di
riafferrarlo al volo, mi sfuggì di mano e io, inseguito dalle
risate che mi bruciava come fuoco vivo nella testa, andai a
nascondermi nei bagni dei maschi restandoci per ore e ore, fino a
notte fonda, cercando di raschiare via il rossore, che si era
impresso indelebile, dalle mie gote.
Caro PC io da allora non ho più fatto lo spavaldo con le
ragazze, mi basta rivedere la mano che fallisce la presa e il cappello
che rotola a terra a qualche metro da me per rinchiudere tutto me
stesso in una torre inespugnabile. Io mi sono inginocchiato
davanti a quelle bambine che ridevano e, camminando sulle
ginocchia, gli occhi a terra, ho raccattato l'oggetto che mi
stava procurando tanta bruciante vergogna. Io non mi sono
più messo un copricapo in testa fino a quando sono andato a fare
il militare.
La prima volta fu una decina di anni fa. Mi sedetti davanti alla
tastiera, doveva essere di domenica, comunque sicuramente un
giorno festivo in cui non avevo voglia di fare nulla di quanto le
persone normalmente fanno lontane dall'obbligo di lavorare, quel
giorno decisi che avrei scritto tutta la mia vita sul PC.
Decisi che avrei tenuto un diario elettronico dotato di tutte
quelle risorse tecnologiche atte ad analizzare, confrontare, ricercare,
catalogare, associare, comparare dati e via dicendo.
Prima di cominciare a stanare i ricordi dai meandri della memoria
nel cumulo delle cose dimenticate e i detriti della mia vita,
presi delle importanti decisioni che, in seguito, si rivelarono
per me fatali.
Come ognuno abituato a lavorare con un computer mi misi subito a
progettare a tavolino il modo di attuare la mia decisione. Il
lavoro poteva essere diviso in tre grandi parti. La prima avrebbe
riguardato il passato con tutti i suoi ricordi, a partire dal
più remoto fino a quando, e qui si entra nella seconda parte, i
ricordi sarebbero diventati resoconto, cronaca giornaliera. La
terza parte avrebbe riguardato il futuro. Il fottuto futuro
sperato, odiato e temuto, terra di vecchiaia, di disillusione, di
solitudine nel quale affondare come in una mefitica palude,
trappola della memoria. Questa fase consisteva nell'esprimere
speranze in base a sviluppi logici di fatti attuali ed analisi a
computer degli avvenimenti precedenti.
La prima parte sembrava essere la più ostica da trattare solo
perché non supponevo ancora minimamente quello che sarebbe
successo da lì a poco tempo.
Ora non si deve pensare che queste fasi fossero portate avanti in
modo seriale, cioè prima tutti i ricordi, poi la cronaca giorno
per giorno delle mie azioni e infine l'analisi dei dati. Tutte le
fasi procedevano parallelamente: mentre la mattina scrivevo dei
miei ricordi, ogni sera, mantenevo un puntiglioso diario di
quanto mi succedeva giornalmente e durante la notte conducevo
lunghe e complesse analisi dei dati per sondare il futuro.
Per la narrazione dei ricordi decisi che avrei proceduto
raccontando i fatti per filo e per segno mantenendo il massimo distacco
e rigore nei confronti della realtà, poi avrei descritto i
sentimenti che si accompagnavano agli avvenimenti. In questa fase
mi sarei lasciato andare sul filo della nostalgia e
dell'irrazionalità. Mi sembrava il modo migliore per far capire
al PC come ogni cosa che accade ad un uomo provochi l'insorgere
di sentimenti che possono essere di segno positivo o negativo
secondo il punto di vista.
I problemi che mi si presentarono furono subito due.
Il primo era il tempo necessario per trasferire i ricordi dalla
mia memoria a quella del PC. Non c'era altro mezzo che digitarli
dopo averli stanati dai loro nascondigli e questo per uno che non
fa il dattilografo di mestiere è lungo e difficoltoso.
Il secondo problema era scrivere il programma di analisi dei dati
che mano mano andavo memorizzando perché quelli che all'epoca
erano disponibili non soddisfacevano nemmeno minimamente le mie
necessità né oggi ce ne sono migliori di quello che ho fatto
io.
Ridussi drasticamente le ore di sonno che da sette divennero
prima quattro, poi tre e, infine, mi stabilizzai sulle due ore. Questo
produsse degli importanti cambiamenti nel mio comportamento nei
confronti del prossimo di cui non parlerò, ma per chi ha fatto
questa esperienza, o ha letto La Peste di Camus, sa di cosa stia
parlando.
In breve persi interesse per qualsiasi cosa, riducendo al massimo
i miei contatti verso l'esterno limitandoli a quelli strettamente
necessari per il mio lavoro che consiste nello scrivere articoli
tecnici di informatica.
Una sera, nella fase dedicata alla cronaca, scrissi:
Oggi ho finito la prova di una nuova stampante. Per fare
questo ha dovuto far finta di essere un altro perché io non sono
più in grado di scrivere nemmeno una parola che non mi riguardi
direttamente. Forse sto diventando schizofrenico. Credo si dica
così quando l'Io si sdoppia.
Sono rimasto tre ore immobile davanti alla tastiera senza premere
nemmeno un tasto. In alto a sinistra del monitor forse io stesso,
qualche tempo prima, avevo scritto: PROVA HARDWARE.
Fissando il monitor vagavo tra ricordi smarriti nel labirinto
della memoria, sceso talmente in fondo al mio tempo da ritrovare
il sapore dei capezzoli avari di latte di mia madre. Lei soffriva
ad attaccarmi al seno e quindi lo sottraeva alla mia fame che si
trasformava in urlo. I miei fratelli odiavano sentirmi gridare,
mio padre tentava di rabbonirmi per qualche momento poi ci
mollava tutti e se ne andava a giocare a biliardo con i suoi
amici. A mio padre ero simpatico unicamente perché gli fornivo
l'alibi per andarsene. Mia madre si sentiva in colpa perché non
poteva fare a meno di tenermi lontano dai suoi seni ma mi
incolpava di far scappare mio padre. Ma questo non lo diceva, lo
pensava confusamente, senza nemmeno rendersene bene conto; lei si
sentiva irritata e basta. Capivo il suo inconscio meglio di lei e
l'inconscio di tutti gli altri della famiglia. I loro pensieri mi
erano chiari e non mi facevano certo sorridere. Una mattina mio
padre morì quando da poco avevo fatto tre anni, mi ero abituato
a fare a meno del seno di mia madre e non sapevo più leggere
nella mente degli altri, ma in compenso pronunciavo un sacco di
parole e ne capivo molte di più.
Subito dopo la morte di mio padre non successe nulla, i miei
fratelli scesero a giocare in cortile e li sentivo ridere dalla
mia finestra e mi madre disse che era come se fosse partito per
un lungo viaggio. Io ero triste, mi sarebbe mancato. Le cose
cambiarono dopo alcune settimane, quando i miei fratelli seppero
che il giorno dopo sarebbero dovuti partire per andare in
collegio e piangevano perché non volevano lasciare né me né la mamma,
e soprattutto gli amici del cortile. Io invece sarei subito
partito con loro o senza di loro. Infatti, dopo nemmeno due mesi,
partivo anch'io tutto contento di rivedere i miei due fratelli.
Quando ci ritrovammo insieme ci sentimmo come su una zattera alla
deriva, eravamo bambini ma ci era chiaro che non sarebbe mai più
stato come prima. I nostri rapporti cambiarono molto, diventammo
più uniti contro tutto il resto del mondo persone e cose.
Era sera e sarebbe stato tempo di cronaca e non di ricordi, ma
sempre più spesso succedeva che cronaca e ricordi si fondessero
insieme e le due sessioni sempre più diventassero una. Per
affrontare la stesura di una recensione era necessario fare il
vuoto dentro di me e lasciare il posto ad un altro essere privo
di ricordi che avevo battezzato con il nome Nastasio II. Le
persone che hanno il nome inusuale con un numero cardinale
associato sembrano esistere più certamente di persone che, per
esempio, si chiamino Rag. Mario Rossi. Quest'ultime sono del
tutto improbabili e mai nessuno penserebbe di chiamare qualcuno
in questo modo in un romanzo a meno di voler calcare sulla
finzione.
Una notte iniziai un analisi di congruità tra cronaca e ricordi
ed il programma mi sottopose due brani scritti con un intervallo
di quarantuno giorni.
Ecco il primo brano.
Quando lei ha riattaccato il telefono sono rimasto almeno
per dieci minuti di fila senza pensare a nulla, nulla di nulla,
come se si fossero interrotti tutti i collegamenti tra la mente
ed il resto del corpo. Vedevo le mie mani, i miei piedi poggiati
lontani sul pavimento, ma era come se io guardassi un altro. La
mia mente si rifiutava di accettare quella frase. E' finita. Non
cercarmi mai più.
Poi la marea montante ha rotto gli argini e finalmente le lacrime
sono sgorgate come un torrente in piena e il petto si scuoteva
come in preda ad un attacco di tosse. Non l'avrei mai più
rivista, sentita, accarezzata, amata, adorata, lei che mi dava il
suo seno con slancio, lei che consentiva che mi addormentassi
tenendo il viso affondato tra i rosei seni. Bastava che le mie
labbra si stringessero intorno ad uno dei suoi capezzoli che
tutte le tensioni dei giorni e delle notti si sciogliessero come
brume sospinte da un refolo di vento. Mai più mi avrebbe
rassicurato stringendomi a sé, cullandomi come fossi stato il
suo piccolino. Mamma, figlia, sorella, amante non potrò mai più
vivere senza di te.
Ora il secondo brano, scritto esattamente 979 ore e 21
minuti, mi fece notare il PC, dopo la telefonata di abbandono.
Assaporo la mia ritrovata libertà con la stessa bramosia
dell'assetato che affonda il viso nella polla d'acqua che sgorga
tra le dune del deserto.
Per fortuna mi sono liberato di lei, della sua melensa tenerezza,
dei suoi seni piccoli da adolescente magra e nervosa.
Mi opprimeva quel suo fare da mamma possessiva e divoratrice.
Odiavo quel suo modo di amare la vita come se fosse il bene
supremo. Lei ama la luce quanto io amo la penombra nella quale mi
aggiro desideroso di oscurità.
Felice Pagnani - L'UOMO E L'INFORMATICA - novembre 1994 -
Micro & Personal Computer
|
|
Commenti degli utenti |
|
|
|
Una pubblicazione proposta fra le tante presenti nel sito |
l'amore per l'altro |
|
Statistiche generali |
» Pubblicazioni |
6785
|
» Autori registrati |
8594
|
» Totali visite |
19300748
|
» Categorie |
35
|
|