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Pubblicata il: settembre 24, 2013 | Da: Redazione
Categoria: Racconti inediti e/o celebri | Totali visite: 1399 | Valorazione

Occhio al medio ambiente | Invia per per e-mail

  
Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
Marco Pedonesi
ECLISSE DI LUNA

Milia era stata una bambina eccessivamente fragile. Fin dalla più tenera età s'inquietava di niente; qualsiasi evento venisse a turbare i suoi affetti la metteva in uno stato di agitazione dal quale era difficile risollevarla: piangeva, si chiudeva in se stessa, non parlava con nessuno.
"È nata con l'eclisse di luna" diceva talvolta la mamma per spiegare il comportamento bizzarro di quella figlia così diversa dagli altri.
Una volta, ad esempio, fuggì da casa per andare a cercare il cagnolino scomparso da un paio di giorni. La ritrovò un amico di famiglia sulla via provinciale che, sconvolta, singhiozzava accarezzando la bestiolina morta sul ciglio della strada. Questi dovette portarla indietro con la forza e quando Milia fu a casa venne subito chiamato il medico, perché aveva la febbre alta, vaneggiava e non voleva più aprire gli occhi.
Dopo qualche anno, avvenne che una sera il papà non rientrasse per la cena. La mamma e i fratelli non si erano preoccupati più del necessario, dato che da un po' di tempo egli si tratteneva spesso nel laboratorio a sbrigare del lavoro arretrato e talvolta rincasava perfino a tarda notte.
Ma Milietta era più inquieta del solito, perciò quando fu l'ora di andare a letto, s'infilò sotto le coperte senza riuscire a dormire.
Il pendolo dell'orologio, nell'anticamera, aveva suonato il tocco, poi le due del mattino, ma la ragazzina aveva ancora gli occhi spalancati: qualcosa di terribile fattosi strada nella sua fantasia le impediva di prendere sonno.
Infine, verso le quattro, sentì dei passi trascinarsi a fatica lungo le scale del condominio, un lento ansimare seguito da gemiti ripetuti e sommessi, poi un tonfo sordo vicino alla porta di casa, come di un corpo pesante che si fosse lasciato d'un tratto cadere.
Milia si alzò spaventata e di corsa si portò nell'ingresso, dove esitante chiese: "Sei tu, babbo?" Ma solo dopo qualche secondo, lungo tuttavia un'eternità, udì pronunciare il proprio nome "Milietta" in un soffio quasi impercettibile che si andava spegnendo sull'ultima sillaba. La bambina aprì allora la porta e nella penombra del pianerottolo vide il padre accasciato sul pavimento con i capelli intrisi di sangue.
Le sue grida richiamarono i famigliari e gli inquilini del piano di sopra, i quali accorsero chi in pigiama chi in vestaglia da camera. Qualcuno si precipitò a chiamare il dottor Berti, ma per l'uomo non ci fu niente da fare: con una forza straordinaria si era trascinato quasi per istinto fino alla soglia di casa. E dopo poche ore spirò senza neppure poter fare i nomi degli aggressori.
Da quel giorno Milia ricadde in una delle solite crisi, solo che questa volta il sistema nervoso, già fragile, non resse e qualcosa, dentro di lei, si lacerò per sempre.
Ogni ora che il tempo trascinava con sé le rubava un po' della sua esistenza passata ed essa sembrava via via eclissarsi ai supplichevoli sguardi degli altri.
Non parlava mai Milietta, e se qualcuno le rivolgeva una domanda: non rispondeva che in modo indiretto, esprimendosi con frasi che per misteriose risonanze parevano uscirle senza intenzione. Inoltre, non guardava mai nessuno negli occhi, preferendo abbandonare lo sguardo verso entità ormai lontane, come vedesse intorno a sé soltanto oggetti inerti, assorbita. da una specie d'involucro opalescente dal quale filtrava la luce appena necessaria onde distinguere forme e colori che fra l'altro non riuscivano mai a raggiungerla nella loro pienezza di corpi.
Solo Dodò riusciva qualche volta a rompere quel guscio impenetrabile. Egli aveva nei suoi confronti un atteggiamento più da padre che da fratello. Così, quando la sera tornava a casa e dopo cena restava un po' solo con lei, l'abbracciava teneramente, poi prendeva la chitarra e le cantava una vecchia ballata. Allora Milietta si apriva spesso in un sorriso, ma un sorriso che finiva per perdersi in mondi troppo d'istanti e inaccessibili.


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