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Pubblicata il: settembre 18, 2013 |
Da: Redazione
Categoria: Racconti inediti e/o celebri | Totali visite: 1305 | Valorazione
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Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
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Nicola Lombardi
IL SEGRETO DEL SILENZIO
Scesero dalla macchina senza parlare. Così prevedeva il rito prima di ogni loro gita in montagna. Mario aprì il portellone ed estrasse lo zaino dal portabagagli. I due amici lo imitarono. Lui aveva già calzato gli scarponi di pelle, compagni di mille passeggiate. Con essi aveva ormai un rapporto di complicità, quasi come con persone in carne ed ossa. Tirò con forza le stringhe e le allacciò, dopo averle incrociate diverse volte. Il carrarmato delle suole sotto i piedi gli dava sicurezza: si sentiva invulnerabile.
Moriva dalla voglia di cominciar a camminare: quell'escursione fortemente desiderata lo avrebbe portato su una cima che da lungo tempo desiderava far sua.
Luigi e Matteo stavano ancora studiando l'itinerario sulla carta dei sentieri e non riuscivano a districarsi. Pareva si divertissero a vederlo soffrire, eppure lo sapevano bene che da due mesi non veniva in montagna. Per uno come lui voleva dire crisi di astinenza.
Alla fine si caricarono il sacco in spalla e, uno dietro l'altro, cominciarono ad ansimare sul primo tratto di salita.
Erano le nove di una mattinata limpida: la sera precedente aveva piovuto, l'ideale per arrampicarsi sulla cima di un monte. Il giovane ci sperava. Sapeva bene da precedenti esperienze che lo spettacolo che si godeva da lassù lo avrebbe fatto stare bene dentro. Lo avrebbe ripagato delle molte cose che negli ultimi tempi non giravano per il verso giusto. Da quando Mara se n'era andata.
- Per fortuna che le montagne non scappano - mormorò.
- Hai ragione, quando abbiamo qualche dispiacere possiamo sempre venire e farci consolare da loro. Sono le nostre migliori amiche - sentenziò Luigi con una voce da salotto di casa.
Matteo non fiatava: quella pettata così ripida all'inizio gli aveva spezzato le gambe. In modo impercettibile malediceva il fratello, che gli aveva barbaramente sottratto il mare e le bellezze in bikini.
A quota 1300 erano appena usciti dal bosco di abeti e stavano salendo ancora il fianco del monte, per raggiungere il crinale.
Di tanto in tanto si voltavano ad ammirare il paesaggio che si apriva alle loro spalle, come il pieghevole di un'agenzia turistica.
Tra poco avrebbero superato la fascia delle piante di mirtillo. Sarebbe rimasta solo una sconfinata prateria erbosa sui due lati dello spartiacque e sulle cime di fronte a loro. Sembrava quasi di dominare il campo da golf di un gigante: le marmotte vi avevano scavato persino le buche.
- Sembra di essere sui monti della Scozia - rifletté ad alta voce Matteo. Tutto quello spettacolo della natura, a cui non era abituato, cominciava a non dispiacergli.
- Già, e pensare che siamo a un tiro di schioppo da una rinomata stazione turistica. Per molti che sono in villeggiatura lassù, la montagna è solo vedere le baite, un po' di panorama, l'aria balsamica e il pranzo e la cena con i piatti tipici - attaccò Luigi polemico.
- Dài, non essere così arcigno con loro - lo canzonò Mario - cercano solo un po' di relax.
In quell'ambiente incontaminato, abitazioni in vista nessuna, solo qualche paesino in lontananza, la sua fantasia viaggiava a briglia sciolta.
Il crinale si snodava sinuoso come il corpo di un serpente di cui non si riusciva ad indovinare la fine. Pareva una corda che univa la tenda azzurra di seta al drappo smeraldino, fitto di pieghe e ondulazioni, che si stendeva sotto i suoi piedi. Camminavano in una dimensione liminare, sospesa tra cielo e terra, con il terrore che il tappeto d'erba, steso al sole ad asciugare, si afflosciasse di colpo e loro rimanessero pericolosamente in bilico sul filo teso, sospesi sull'abisso.
Un vento leggero gli carezzava la faccia, quasi un ringraziamento per essere entrati in quelle lande, normalmente ignorate dalla gente. Arrivati ai piedi di una piramide appuntita, pranzarono in una selletta con dei roccioni.
Già era l'una: Luigi spezzò una barretta di cioccolato fondente suscitando l'attenzione degli altri.
- Pensare che molte persone non se lo immaginano nemmeno, che vicino a casa loro esistano dei posti incantati come questo - sospirò Luigi.
- Se lo sapessero, non sarebbero più incantati - gli rispose Mario, a bocca piena - Chi va in giro solo con l'automobile vede molte meno cose di chi ci va a piedi.
Matteo ascoltava con interesse il loro dialogo.
- Alla maggior parte delle persone la montagna interessa solo d'inverno, quando si può sciare.
- Ma la montagna vera è un'altra cosa: è alzarsi alle sei del mattino, è passione, è sofferenza, è stringere i denti per arrivare in cima.
Luigi con solennità: - Camminare aiuta a riscoprire la vera dimensione di un territorio, che i mezzi di trasporto moderni ci hanno fatto perdere. È meraviglioso trovare cose nuove in un posto che credevamo già di conoscere. Non è necessario andare in luoghi esotici per sentirci realizzati.
- Io - lo interruppe Mario - quando ho un problema oppure una decisione difficile da prendere, immagino di essere sulla cresta di un monte: un passo dopo l'altro giungo sulla cima, scendo l'altro versante e tutto si appiana.
I tre si sdraiarono per un poco sull'erba, a schiacciare un pisolino, poi si rimisero in marcia. Le ore passavano senza che se ne rendessero conto: era come se si trovassero in una dimensione di cui le lancette dell'orologio non sapevano scandire il ritmo. Matteo non credeva ai suoi occhi: - Ma come, è già così tardi? Non me ne ero accorto.
Verso le cinque e mezza, sul far della sera, i tre ragazzi giunsero a un solco che univa due grandi prati in declivio, come le pagine di un grande libro, aperto su un monumentale leggio.
- Chissà come sono nate le montagne... - si domandò Matteo con voce sommessa.
- Corrugamenti della crosta terrestre - gli rispose Luigi, come se fosse la risposta più naturale. L'unica capace di esaurire quel problema che di fronte a tanta bellezza si era affacciato nella mente del ragazzo.
Mario su questo punto era lontano dall'amico:
- Vedi Matteo, io credo che le montagne siano nate come è nato il mare, come tutto ciò che di più bello si trova nell'universo. Spesso di fronte a quello che ci circonda, specialmente le cose più vicine, noi ci rapportiamo con un senso di scontato. Questo ci fa apparire banale anche ciò che inizialmente ci emozionava. Il vero significato della vita, secondo me, consiste nell'accettare tutto quello che abbiamo intorno, le cose, le persone, i luoghi, le circostanze anche dolorose, come un dono. Lo so che ti pare assurdo, ma è una posizione più umana verso l'esistenza perché valorizza tutto e non dà per scontato nulla. Questo atteggiamento ti farà percepire le cose in tutta la loro pienezza di senso, anche quando ti sarai abituato ad esse. Altrimenti comincerebbero ad apparire banali, insufficienti, vuote.
- Io non sono credente e non posso certo cambiare a trent'anni - dichiarò Matteo, un po' frastornato da quei ragionamenti che toccavano troppo da vicino la sua umanità.
- Allora seguiterai a vivere solo in superficie. Come scrisse una volta Goldoni: "il mondo è un libro meraviglioso, ma serve a poco a chi non ci sa leggere dentro". La vita è un grande mistero.
Luigi si trattenne a stento dall'offendere Ciò in cui il suo amico credeva, replicò fra i denti: - Dite sempre così quando non sapete spiegare qualcosa.
Frattanto erano giunti alla macchina. Il sole al crepuscolo era l'ultimo dono di quella meravigliosa giornata. Con il viso bruciato e le gambe doloranti stavano per ritornare nella civiltà. Chi senza rendersene conto, avevano sfogliato una pagina in più di quel meraviglioso scritto che è la creazione. |
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Una pubblicazione proposta fra le tante presenti nel sito |
A Lucca un ce lo vòglin... e neànco fòra1
'ché a quarchedun n'è pparsa 'ssai spavalda
l'idea portata 'vanti 'nfin a òra
di fa' l'ipermercato all'Acquacalda2
"Qui di cement' armato è 'na colata
e 'r tràffio c'affoga per la via
c'è rìstio d'ingolfare l'Annunziata
Sa' mMarco e tutta la periferia!" |
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