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Pubblicata il: settembre 24, 2013 | Da: Redazione
Categoria: Racconti inediti e/o celebri | Totali visite: 1623 | Valorazione

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Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
Paolo Fantozzi
IL BUCANEVE

Nell'antico piviere di San Macario, che anticamente confinava con l'altro importante piviere, quello di Arliano, passava la Via Francigena. A questa strada si intersecavano diverticoli, passi, sentieri che, a seconda della stagione, acquistavano maggiore o minore importanza rispetto al percorso principale, che comunque rimaneva tale per la presenza di ospedaletti dove sostavano i pellegrini diretti al Volto Santo di Lucca.
E' indubbio che nel Medioevo, fra il piviere di Arliano e quello di San Macario, vi fossero importanti e frequenti contatti, in particolare lungo questi antichi sentieri si trasportavano olio, vino e cereali che raggiungevano la Versilia e la lontana Garfagnana. La terra del comprensorio di Triano, ancora oggi in possesso della Certosa, fu acquistata nel 1465, allo scopo di potere usare il legname per edificare una fornace (era il 1492) che avrebbe fornito i mattoni per l'ampliamento dell'edificio della Certosa e assicurare anche una buona provvista di legna da ardere nell'inverno. A Triano arrivava la "strada dei pini" che saliva dalla pianura allora ricca di acquitrini e paludi. Alcuni documenti che riguardano la Certosa di Farneta ci rivelano che il luogo dove edificare il monastero fu scelto proprio perché era solitario e difficilmente raggiungibile. Nel 1391, vi si approdava ancora con una barca attraverso un fitto reticolo di canali.
Triano, è oggi un gruppo di case sulla strada asfaltata che da Farneta conduce a Stabbiano e a Chiatri, ma un tempo fu un luogo importante per la presenza della "domus minor" o "correria" della Certosa, dove abitarono i frati conversi fino al 1559, data di completamento del chiostro interno. In quell'anno, i frati conversi - cioè quei frati che avevano mansioni diverse, come quelle di allevare animali, curare i boschi e provvedere alla legna da riscaldamento, tutti, ad eccezione di uno, scesero e tornarono ad abitare all'interno della Certosa del Santo Spirito. Il motivo per cui le correrie furono soppresse è da attribuire al fatto che, a un certo momento, i responsabili dell'ordine si preoccuparono che i frati non avessero contatti con i superiori che stavano in Certosa; per loro poteva essere più facile deviare dalla Regola stessa. A Triano i frati conversi abitavano in una casa a forma di torretta con un silos interrato dove venivano conservati i cereali per l'alimentazione degli animali.
Abbiamo detto che soltanto un frate rimase da solo ad abitare nei boschi silenziosi di Triano. Si chiamava Martino e non volle lasciare quei boschi che per lui erano silenzio, pace e ristoro per l'anima, condizione privilegiata per pregare e ringraziare il Signore in ogni momento della giornata. Continuò da solo il lavoro degli altri frati, scendendo alla Certosa una volta al giorno per partecipare alla Santa Messa. Non si scoraggiò mai per le prove che il Signore gli mandò in quegli anni, ma un inverno, quello dell'anno 1565, fu più difficile dei precedenti, anche per Frate Martino.
Quanta neve cadde quell'anno. Aveva cominciato a nevicare in novembre e non aveva più smesso. Era stato un continuo susseguirsi di bufere, di venti impetuosi che sconquassavano gli alberi e rendevano vano il lavoro del povero frate che tentava di rappezzare qua e là il tetto già malandato da troppi anni. Gli animali gemevano nelle stalle e gli uccelli, dopo avere cercato di ripararsi invano, avevano dovuto fuggire verso lidi più miti. Frate Martino cominciava ad essere anziano, ma il suo corpo che aveva superato ogni sorte di rischi e di pericoli, in terra e mare, non temeva il rigore di quel terribile inverno. Una sola cosa gli dispiaceva, di non potersi inoltrare nel bosco che scendeva verso la Contesora a pregare, ad affastellare legna e soccorrere gli animali che si trovavano senza cibo. La neve era così alta che gli impediva perfino di scendere alla Certosa, così passava le lunghe giornate in orazione dentro la povera casa che aveva protetto con un muro che impediva al vento e alla neve di entrare. Non distante dalla casa aveva creato un ampio spazio dove nei giorni di primavera il sole si faceva spazio e riempiva di luce almeno una parte di quel bosco fitto e impenetrabile. Ma quell'anno la primavera ritardava; la neve a marzo copriva ancora la campagna e anche nel bosco la neve rendeva difficile il cammino. Fra Martino vegliava, e ogni tanto spalancava la porta e con una pala enorme, che solo le sue forti braccia riuscivano a reggere, spalava lontano la neve e guardava intorno in cerca di un piccolo segno di primavera. Ma la vana attesa e i lunghi giorni trascorsi al chiuso, gli avevano indebolito le forze. Gli occhi in particolare si erano indeboliti a causa del fumo che riempiva la stanza in basso. Erano rossi, gonfi, lacrimavano in continuazione. Non potevano guardare la luce, anche la fiamma della candela gli provocava fastidio e irritazione. L'unico sollievo era un po' d'acqua fresca. Nonostante questo la sua preghiera si faceva sempre più fervida e fiduciosa nell'aiuto che il Signore gli avrebbe riservato.
Alla metà di Marzo, quando pareva che il tempo volgesse al meglio, una bufera imperversò e lo spessore delle nevi crebbe ancora. Fra Martino ebbe un momento di paura e di scoraggiamento; allora s'inginocchiò davanti al rozzo crocifisso che teneva appeso vicino alla finestra e pregò così: "Un po' di verde, o Signore, per questi poveri occhi che bruciano. Un po' di verde in modo che le mie pupille riposino ed io capisca ancora una volta che voi siete il padrone della natura. A che servirei per questi alberi, per questi animali dei boschi, per i miei fratelli laggiù, se dovessi perdere la vista? Chi andrebbe in soccorso dei pellegrini e dei mercanti che si smarriscono per queste strade? Chi insegnerebbe agli uomini a lodare, con le bestie della foresta e gli uccelli dell'aria, il vostro santo nome?"
Il Signore misericordioso ebbe pietà di Fra Martino e ascoltò la sua preghiera. Nella notte, un forte vento caldo soffiò da sud e cominciò a sciogliere le nevi. Le acque della Contesora si ingrossarono e si fecero fragorose e minacciose, giù in basso nella valle. Dopo due giorni, la neve copriva ancora la terra, ma nell'ampio prato che Martino aveva aperto nel bosco era distesa una fitta fioritura celeste sulla quale i suoi occhi finalmente riposarono.
Allora, per ringraziare meglio il Signore, Fra Martino andò a cercare il suo albero preferito, un vecchio leccio nodoso e robusto come le gambe del povero certosino e s'inginocchiò.
Ancora oggi, dopo tanti anni, chi riesce a trovare quel prato nei boschi di Triano, rimarrà estasiato di fronte a quel miracolo che si rinnova ad ogni primavera: una fitta coltre di bucaneve, un lago di petali screziati d'azzurro che si muovono nel vento, un sogno leggero di preghiera, un frammento di paradiso caduto sulla terra.


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