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Pubblicata il: settembre 24, 2013 |
Da: Redazione
Categoria: Racconti inediti e/o celebri | Totali visite: 1480 | Valorazione
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Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
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Paolo Fantozzi
MILTON, RITRATTO DI UN CANE:
Tra noi e la natura c'è un'amicizia che quando ce ne accorgiamo fa l'effetto di accostarsi a Dio. La nostra anima si apre per tutto l'universo; pare che anche le montagne, il mare, gli animali ci siano per farci compagnia, per rendere il nostro soggiorno su questa terra più bello e radioso. Pare che anche le stagioni, per compiere la loro strada, attraversino la nostra anima e ci conducano verso una dimensione di pace e serenità quale solo la natura e i valori spirituali sono in grado di darci. Abbiamo in noi un'esistenza fatta di musiche silenziose, che danno alle nostre parole il suono della nostra umanità individuale; così come ogni cosa ha una voce che dipende dalla materia e dalle caratteristiche sue. Noi siamo capaci di rinnovare il senso delle cose dentro di noi, perché non si tratta soltanto delle immagini date dai ricordi, ma dalla voce misteriosa e profonda che nasce tra noi e il mondo esterno. Allora è possibile comunicare a largo raggio e scoprire che ogni essere del creato ha una sua voce inconfondibile e degna di essere ascoltata.
I cani sanno rivelarci questo primitivo e istintivo modo di comunicare e ricordano all'uomo quanto infelice la vita possa diventare quando ci si discosti dalla semplicità, gratuità e fedeltà degli affetti fra i nostri simili.
Milton nacque in casa una mattina di pioggia, tanti anni fa. Un piccolo Labrador nero con una cravattina bianca sul petto, quasi a distiguere subito il suo carattere dignitoso e riservato. Non volle confondersi con gli altri cuccioli, ma preferì riservarsi un angolo del salotto come rifugio sicuro da compagni troppo invadenti. La sua aria malinconica e solitaria era accentuata dai profondi e lunghi respiri che emetteva ogni volta qualcuno di noi gli si avvicinava per infondergli carezze e complimenti. Eppure non gli dispiaceva la nostra compagnia, se ogni tanto veniva a sedersi accanto a noi, vicino al fuoco, battendo leggermente la coda sul pavimento per dirci il suo piacere di trovarsi lì.
Dai suoi occhi castani, rotondi e vagamente tristi, ma dotati di una lucentezza che rivela un animo nobile e sincero, ho imparato a capire che l'affetto più vero si esprime con una silenziosa presenza, piuttosto che con una rapida ed effervescente effusione di suoni e gesti.
A Milton non piace l'estate; lo rende pigro e nervoso. Si stende sotto un cespuglio di biancospino e chiude gli occhi in segno di rassegnazione. Il suo manto nero riscaldato dai raggi del sole emana riflessi bluastri come una preziosa pietra d'oriente. Dal muso appoggiato sulle sue zampette anteriori incrociate, ho imparato a capire l'importanza della silenziosa e fiduciosa attesa, della saggia disposizione ad accettare ciò che non si può cambiare, mantenendo salda la nostra dignità morale.
C'è una sola parola che in qualsiasi momento riesce a svegliarlo dal suo torpore e a fargli ritrovare la sua vitalità nascosta: "Pruniccia". Milton scende veloce dalla sua cuccia, alza le orecchie, apostrofa la coda e avanza con passo baldanzoso e sicuro verso la porta, manifestando la sua impazienza dando un leggero colpo all'uscio che si apre sul giardino. "Pruniccia", oltre ad essere una parola magica, è un luogo di acque, selve, rovi e silenzio. Non si incontrano né cani né persone. Per questo piace a Milton. Si spinge con me oltre il cancello verde, s'affretta fuori nei campi aperti girando su se stesso, cercando di attirarmi verso il bosco mettendosi a correre verso quella direzione e voltando la testa verso di me continuamente per accertarsi della direzione giusta. Allora inizia a saltare per una specie di allegria disperata, che rifiuta la realtà, e anche per conquistarmi, per corrompermi con le sue prodezze. Percorriamo il sentiero per circa cinque minuti, fino al punto in cui cessa di essere tale, e diventa, lungo il margine del bosco, una traccia invisibile che si perde tra gli alberi e i rovi. Procedo con lentezza e attenzione, mentre Milton, pronto allo scatto, inebriato per la felicità di trovarsi su uno spazio tutto suo, riempie il bosco di galoppate vertiginose in lungo e in largo, saltando nel ruscello, coprendosi di fango e, poggiando il muso a terra, inizia a camminare seguendo la pista di odori dimenticati. A volte comincia a inseguire un uccellino che, preso dalla paura o per provocarlo, continua a svolazzargli davanti al muso. Quando però mi siedo su un tronco, anche lui accorre e si accoccola ai miei piedi. E' una cosa strana, buffa e familiare sentirlo seduto vicino a me. In sua compagnia e guardandolo, mi invade una simpatia gioiosa. Ha un modo di sedersi molto contadinesco, le scapole divaricate e le zampe disegualmente ripiegate verso l'interno. In questa posizione la sua figura appare più piccola e più goffa di quanto sia veramente, e la macchia di pelo bianco sul petto sporge comicamente in fuori. La testa compensa però di qualsiasi portamento difettoso, a causa della profonda attenzione che esprime. Tutto tace, perché noi stiamo in silenzio. Qui il mormorio dell'autostrada vicina arriva molto smorzato. I piccoli movimenti silenziosi tutto attorno acquistano risalto e allertano i sensi: il breve fruscio di una lucertola, il cinguettio di un uccello, il tonfo di una pigna. Le orecchie di Milton si raddrizzano, inclina la testa per aguzzare l'udito e le narici del suo naso nero e umido si muovono senza posa, fiutando sensibili. Poi si accuccia e siccome ha caldo, spalanca le fauci e così tutta l'intelligenza del suo aspetto si risolve in bestialità, gli occhi socchiusi si rimpiccioliscono e tra i bianchi, robusti canini, penzola rosea la lingua.
Spesso accade che lungo il ruscello Milton incontri qualche cosa che lo interessi particolarmente, come un animaletto selvatico o una traccia lasciata da qualche animale del bosco. Perciò inizia a scavare con tutte le sue forze, con assoluta abnegazione e indifferente al mondo esterno, senza collera, ma con l'oggettiva passione dello sportivo. Il suo corpo rivestito dal lucido manto bluastro, dove le costole spiccano nitide e i muscoli vibrano sotto la pelle liscia si poggia a terra; solleva in alto il posteriore, con la coda arcuata come un punto interrogativo che va su e in giù in fretta e furia; la testa, insieme alle zampe anteriori, sprofonda nella cavità che penetra obliquamente sottoterra. Continua a scavare più in fretta che può, ma all'improvviso si ferma e al mio richiamo desiste dalla sua ardua impresa e ritorna a seguire i miei passi.
Le stagioni si avvicendano con rapidità; Milton conta già parecchie primavere, ma non le dimostra. Eppure a volte ho la sensazione che queste passeggiate dovranno interrompersi. Lui sembra avvertire la mia ansia e con i suoi occhi mi rassicura dicendomi: " Per quanto profondo possa essere il mio sonno, vi sentirò, e la forza della morte, per grande che possa essere, non potrà impedirmi di agitare con gratitudine la coda".
13 agosto 1998 - Milton se n'è andato nel bosco. Non è più tornato. Non ci ha voluto far soffrire facendosi vedere privo di vita. Ha voluto che lo ricordassimo come vivo; si è dissolto nella natura a cui ha sempre appartenuto. |
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Una pubblicazione proposta fra le tante presenti nel sito |
MAGNÀ E DORMÌ
Con traduzione
So' du' vizietti, me diceva nonno,
che mai nessuno te li pò levà,
perché so' necessari pe' campà
sin dar momento che venimo ar monno |
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