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Pubblicata il: giugno 13, 2013 | Da: Redazione
Categoria: Racconti inediti e/o celebri | Totali visite: 1595 | Valorazione

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Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
"Mio
marito ed io -è inutile negarlo- siamo abbastanza informati, monsieur
Emanuele, delle vostre attuali condizioni. Tutti, qui in Francia, si
ricordano ancora di voi. Per la Ninfa alla selva, innanzi tutto, per le
tristi vicissitudini legate alla sua giovane modella, poi. Mi sento in
dovere di essere leale: le chiacchiere sul vostro conto sono state, in
passato (soprattutto a seguito della vostra improvvisa partenza), …très
insinuantes. Molte di queste voci sono, senza dubbio, inventate; altre,
invece, sono più realistiche. Non mi preoccupa sapere se voi siete stato
o no l'amante di Cate Hovey…" e a quel punto della frase tirò un
profondo sospiro, prima di concludere: "mais je me suis convençue que
vous êtes totalement ètranger à la question du suicide".

L'avevo immaginato. D'altra parte, la cosa mi sembrava naturale. Glielo
confessai subito. Allora madame Dupont parve riprendere coraggio,
superando il momentaneo disagio che era seguito al suo discorso.

"Ho saputo che la vostra fidanzata, mademoiselle Eva (nipote di monsieur
Farinelli) ha un'influenza positiva sul vostro carattere e, nel
complesso, sul vostro stato di salute che, a dispetto dell'incidente di
anni fa, come vedo è tornato ottimo".

"Mi viene da pensare", replicai scherzosamente, "che durante il viaggio
Italia- Francia, le voci vengano completamente distorte, jusqu'à être
trasformées dans leur contraire! "

Fra una simile premessa e quella deliziosa compagnia, passò così la mia prima mattinata parigina.



Madame Dupont, da perfetta padrona di casa, aveva accettato volentieri
di accompagnarmi al cimitero. Sulla tomba erano riposti numerosi mazzi
di fiori freschi, rose e gigli, che lasciavano a stento vedere la foto
di Cate, appena sotto la piccola statua, modellata da uno dei più
importanti scultori francesi. La figura sottile bronzea tendeva quasi ad
avvitarsi su se stessa, come fosse formata da tralci di vite
sovrapposti ed incrociati gli uni agli altri. Alla base della statuetta,
una mano aveva riposto la cartolina raffigurante la Ninfa alla selva
con la scritta for ever, quasi a testimoniare che se la vita scorre
implacabile, la magnificenza delle opere d'arte vive in eterno. Cate,
per sua disgrazia, avrebbe sempre incarnato la bellezza eterea della
Ninfa agli occhi della gente e forse, chissà, se non fosse stato per
quel particolare, la sua vita non si sarebbe mai spezzata così.

"Com'è potuto accadere?", domandò con uno sguardo compassionevole madame
Elenoire, poggiando con garbo la mano sulla mia spalla come a volermi
offrire un conforto ed un solido sostegno. Vacillai.

"Le cose capitano, sapete. Capitano e basta… A chi sopravvive resta una
specie di… rimorso, oltre al dubbio: avrei potuto fare qualcosa?".
Tacqui e sprofondai il mio sguardo sulla terra umida, quasi a voler
scavarci dentro.

"E ingiusto che voi non vi diate pace per questo tragico lutto",
continuò Elenoire, "come se foste voi il colpevole. No, Emanuele,
concedete pace al vostro animo, così come la pace ha raggiunto Cate".

"Sapete", le risposi e le parole risuonarono ai miei orecchi con
l'impeto di un'amara confessione, "quel quadro, davanti al quale ho
sognato, ho superato misticamente la realtà, il tempo, lo spazio; quel
quadro, dinanzi al quale la gente rimane a bocca aperta, stupita,
estasiata per qualcosa che sfugge alla ragione ma non ai sensi… ebbene,
quel quadro, è entrato nella vita mia e in quella di Cate, rivoltandole
entrambe con straordinaria, travolgente veemenza. Noi ci siamo
abbandonati a lui e ne siamo rimasti schiacciati. Tutto si è confuso
nelle nostre menti, abbiamo perso l'identità, sprofondando in una realtà
nella quale non sapevamo più chi eravamo veramente. I salotti, il
successo, le copertine, il denaro… Cate era entrata in un brutto giro,
faceva uso di sostanze stupefacenti e non riusciva più a farne a meno.
La sua fine è stata inesorabilmente scritta nei colori di quel maledetto
dipinto… no, ancor prima, fin dal giorno in cui mise piede nel mio
studio ed io, non posso negarlo, Elenoire, mi sento l'unico responsabile
di tutto ciò!".


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