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Pubblicata il: ottobre 24, 2013 | Da: Redazione
Categoria: Racconti inediti e/o celebri | Totali visite: 1904 | Valorazione:

Occhio al medio ambiente | Invia per per e-mail

  
Redazione
Sono Manuel figlio di Felice, contento di portar avanti il lavoro di mio padre.
I SILENZI DELLA LUCE

E’ un bel giorno, come non accadeva da anni; certo, anche oggi ho dovuto inventare la mia meridiana, fare a pugni con le tenebre che mi
porto dentro, ma almeno ho una nuova coscienza.
Mi sento viva, anzi, la vita mi scoppia dentro col suo fragore, non posso contenerla, e ho imparato a domare i silenzi della luce, gli spettri di quel sole che mi è morto davanti agli occhi.

Non vedo da quattro anni, da quando ne avevo venti, ed è buio integrale davanti a me. La mia mente, alla perdita di un senso così importante, aveva reagito imponendo il lutto totale al mio intimo, e c’era proprio da perdere il senno in quel black-out. Non posso affermare d’aver superato tutte le prove di questa corsa ad ostacoli che è la mia esistenza, e quel mondo spento che mi si rivolta dentro, spettinato e con un incarnato diafano, ancora morde i miei spasimi, e tuttavia ho adottato altre strategie per un armistizio con le tenebre, che mi avevano costretta al conflitto con l’ambiente che mi circonda.

A volte mi prende il desiderio di correre e spalancare il cielo insieme a tutta la luce che contiene, poi versarmela addosso come fosse una secchiata d’acqua fresca; e vorrei guidare la mia auto, oltrepassare il limite… Il limite! E’ una parola farsene una ragione! E’ proprio quest’ultima che mi ringhia contro, e trovo veti ovunque, una segnaletica di rigori che mi fa diventare idrofoba! Qualcuno me lo fa notare, ma io lo ignoro. Mi sono rassegnata, che parola difficile da pronunciare!, mi sembra d’avere la cuscuta sotto la lingua, quando sono costretta ad ammettere che non mi resta altro. Tutti i desideri hanno il verme dell’impossibile.

Un glaucoma pigmentario, curato con trattamenti non appropriati, mi ha condannata ad essere invisa alla luce per sempre, e negli anni ottanta, questa patologia, nella maggior parte dei casi, è irreversibile.
Dopo lotte e ribellioni sono uscita dalla mia trincea e sono rientrata nell’esercito regolare dei viventi. Accolgo ogni sfida, abbatto barriere e ostacoli - montagne dei miei percorsi accidentati - e punto al traguardo; investo fino all’ultimo spicciolo di risorsa per sentirmi a norma, con le stesse opportunità degli altri. Il pensiero ha vista acuta, le parole hanno gambe agili e scattanti, e ho imparato a vezzeggiare l’immaginario, a mettere la museruola alle fauci della paura, per andare oltre gli impedimenti, la preclusione.

Frequento lezioni regolari all’Università, pratico il nuoto in piscina, ho tanti interessi che hanno acceso altre prospettive; raggi artificiali, certo, ma io ho legittimato questo nuovo stato, l’alternativa è soccombere sotto l’immane peso del dramma, fra gli strali di un mondo insolente, fedifrago, che ha più volte minacciato di schiacciarmi se cedo all’inerzia. L’interdizione alla luce, quando ne prendi atto, ti sconvolge fino al dissesto mentale; e le cose vorticano intorno, come sagome senza senso, non sai più andare, non hai più strade ma scarpate; ovunque.

Accettare approssimazioni di vita, i decimali delle cose, come omaggi beffardi di un destino che su di te ha rivolto la sua collera, non è semplice. Ho lottato contro questi aspidi, e ho chiuso i conti con i rimpianti e la rivolta interiore: sublimare inquietudini e istinti gregari di rigetto, riconvertire con altre ‘viste sul mare’, è l’unica svolta possibile. Il primo anno è stato durissimo; ricordo che mi precipitavo sui muri per accendere gli interruttori della luce, e non mi bastava la risposta crudele, dopo un po’ la mia mano ritentava, spinta da pulsioni inconsce, da una mente che non accettava la realtà. Prima che il sipario allungasse le sue ombre sui miei occhi, amavo contemplare la natura in ogni sua manifestazione, e ritrovarmi anche questa porta sbattuta contro, è stato arduo, durissimo.

Mi facevo accompagnare al mare, nei primi tempi del disastro, accettavo questi pasti frugali di vita, e nel contempo mi ribellavo; avvertivo intorno i fasti splendenti di quella natura integra, ne percepivo i profumi, ne ascoltavo i versi e le voci, e mi ritrovavo con gli spasimi, il desiderio morboso di guardarmi intorno…. Una volta quasi urlai a Dio: ma perché hai reso la vita così bella e irresistibile? Perché? Per farmi un dispetto? Il mondo si era contratto in me, con difficoltà raggiungevo le sue espansioni, avvertivo il fermento del vivere come un cerchio incombente, e allora mi fermavo in ascolto, per placare la mia impotenza, domare a frustate gli occhi della mente, nel vuoto che mi stordiva. Vedevo con i suoni, a volte violini, altre percussioni che aggredivano i miei recettori, ormai sensibilissimi.

Ora vedo con gli occhi del mio cane; io e lui ci parliamo, ci scambiamo i privilegi; abbiamo idiomi diversi, certo, ma pochi sanno quanto questi animali siano intelligenti nel comprendere, acuti nel presentire.
E vedo anche con i sensi che mi sono rimasti, che hanno triplicato ‘il volume’ e l’efficienza, ho antenne paraboliche ovunque, e non permetto agli occhi altrui il sopravvento sui miei, solo perché sono indigente di sole; e tanto meno d’essere travolta dai cingoli di una luce ambigua. Ho radar infallibili – rettifico! –quasi infallibili, per torcere le lunghe membra della menzogna, e costringerla alla resa. Non sono sottomessa, e non voglio pietismi, né amo essere circondata di riguardi eccessivi. Non mi convince l’appellativo ‘non vedente’, è da revisionare, da riportare alla zecca per un nuovo conio. Non salto di gioia nemmeno quando mi chiamano ‘diversamente abile’. Vorrei essere trattata come persona normale, e basta.

Le parole sono lampioni alla mia strada, e non importa se a volte v’inciampo, so rialzarmi.
Poi sei arrivato tu. Non chiedermi di ricordare quando, o dove, non lo so, ho rimosso l’evento. Strategie mentali che ignoro, hanno omesso i dettagli di quella memoria, vivo con l’impressione che tua abbia sempre fatto parte degli arredi del mio tempo. Le tue lezioni di autostima, trasfusioni di pura dignità, mi hanno attraversato come torrenti sotterranei, falde altrimenti in secca.

Non mi hai compatita, né trattata da diversa, devo anzi riconoscere che il tuo modo d’essere severo con me è stato terapeutico, perché le tue parole sono state elementi che hanno irrorato l’intimo, la mia mente, che poi ha espresso altre attitudini, nuove inclinazioni. Ho inconsciamente resistito a questo sentimento, l’ho respinto, fino a quando tu mi hai fatto sentire un’imbecille. Con queste parole: - ‘Perché ti difendi da me, eh? Spiegamelo! Cretina! Se non la pianti ti piego come un vestito logoro e ti porto in una discarica, almeno qui ti sentirai al tuo posto!
Basta! Finiscila d’essere così brutale con te stessa. Perché sei assillata da questa assurda indegnità? Vuoi spiegarmelo?’ –

Fui io a ripiegare il mio orgoglio come un vestito logoro, e quel cielo lontanissimo, del quale avevo scordato il colore, mi restituì la coscienza, senza riserve di rifiuti codardi, mettendo due ali d’aquila a quel sentimento scaraventato in un ripostiglio del cuore.

Non voglio pensarci, mi vergogno.

Stasera col mio cane, dopo la lezione all’università, voglio andare all’Orto Botanico, ci vado spesso. Ci andavo anche ‘prima’, e conosco ogni angolo, mi è tutto familiare, qui. C’è un legame stretto, parentale, con la natura; ho fatto la pace con questa Signora del Creato da qualche tempo... Qui sento una strana attrazione versi i sistemi immensi dell’Universo, richiami quasi ancestrali all’origine. Come fosse un processo involutivo che mi riporta indietro; difficile spiegare quando l’equilibrio dei sensi viene stravolto dalla mancanza di quello più importante. Il ritmo assordante del progresso non si sente, o quasi, ed è leggero anche il traffico dei miei pensieri; tutto il frastuono giunge come eco sommerso. E il silenzio mi dice tante cose. Non è un’insidia qui, il silenzio; a volte sono portata a sostenere che è magniloquenza di Dio, per redarguire i suoni aspri del mondo… Forse è così.

Sento il senso d’appartenenza a questi luoghi immuni, ai suoi processi, che neppure la mancanza di luce – non più in grado d’inquisirne i tratti - può profanare. Poiché non posso trattenermi nella superficie del ‘visibile’, mi limito a scandagliare in profondità il senso delle cose. Puoi giungere alla conclusione che anche le pietre hanno un’anima. L’intimo di una persona alla quale è stata preclusa la visione dei propri orizzonti, è quello di percorrere vie di pensiero che ‘prima’ non sospettava, attratta com’era in un’orbita d’apparenze. Dopo il primo impatto con questo nuovo corso di vita, i giorni mi tramontavano contro, erano cerchi chiusi, ora ne arresto la fuga con i mezzi che mi sono rimasti. La mia è una vita che non ha le sue carte in regola, noto la tessera mancante, ma non può essere alibi per proclamarne l’assenza. Ho il passaporto per un nuovo viaggio.

Certo, osservo il mondo a una distanza di sicurezza, ne scruto i suoni, ne filtro il tacere, e lacero la coltre di buio attraverso la parola, inseguendo i fili che mi portano all’ordito della società in cui vivo. Ora non m’infastidiscono i rintocchi delle campane; gli anni scorsi queste scansioni producevano strani effetti in me, comprese le ore che a casa mia cadevano dall’orologio a pendolo come foglie morte, riflettendo echi sinistri nei miei stati intimi. Non mi tormento nel tentativo estremo e parossistico d’indovinare i tratti somatici delle persone che incontro, le considero vite in transito che amo; e basta. L’ideazione certo è iperattiva e frenetica, perché tutti i requisiti dell’essere sono rivolti al mio mondo ipogeo, e così che gli occhi della mente acquistano nuove e insospettabili diottrie, per questioni di compenso.

Che splendore l’Orto Botanico!, e tutti i versi degli uccelli che impazzano in quest’aria estiva ovattata, mi fanno sentire d’esserci al mondo.
Gorgheggi di rondini, e trilli che rimuovono scorie, zirli di cicale e concerti di piccoli viventi, mi fanno amare le cerimonie della natura. E poi c’è il messaggio di Renzo, ieri l’ho letto nel mio pc, uno speciale; per fortuna il progresso non si dimentica di quelli come me. Un messaggio che mi ha ‘caricata’ in modo esponenziale. Renzo lavora poco lontano da qui, lo sto aspettando in questa scranna di legno, sotto uno faggio svettante. Ho fissato in me indelebilmente le parole del suo messaggio: ‘Sai, qualcuno mi ha riferito che in Canada ci sono stati interventi su persone affette dalla tua stessa patologia, e tanti sono stati i successi… Sappi che ti porterò anche in capo al mondo, pur di restituirti la luce. Non dimenticare che io ci sono, non sei sola…’
Le tue parole sanno come braccare le mie insicurezze, per questo tu sai essere vento e io libertà.

Col messaggio di Renzo l’eclissi è diventata parziale.
Vi ho già detto che l’entusiasmo è forte, oggi; il pensiero corre a duecento all’ora. I raggi prepotenti di questo sole appassito dentro il mio sguardo, mi dispensano comunque calore. Sento che il giorno si sta arrotolando nei crinali dei monti vicini; il cane mi lecca le mani e mi chiede d’alzarmi; ma all’improvviso arriva lui, il mio est e il mio ovest, punti cardinali ai quali non pensavo più.


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